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318 POESIE

Cefalo.
A’ sommi Dei non è da dar consiglio:
Fia ben ciò che farai.
Aurora.
Ove il piede rivolgi? ove ne vai?
Cefalo.
Per l’aspre selve a perseguir le fere.
Aurora.
Oggi dal guardo mio non fuggirai;
Uomo non ave incontro a Dio potere.
Coro di Cacciatori.
Io tra foreste, e tra nevosi monti
Di lunghe aste ferrate armo la destra,
Ed a greggia silvestra
Di cervi altier per le ramose fronti,
Ed a Cinghial torbido gli occhi, e bianco
Le curve zanne empio di piaghe il fianco.


ATTO SECONDO


titone, oceano, febo, coro di deita’ marine, amore, coro di amori

Titone solo per l’aria.
Chi mi conforta aimè! chi più consolami?
     Or che ’l mio sol, che sì bei raggi adornano,
     La bellissima Aurora, onde s’aggiornano
     Mie notti, innanzi tempo ecco abbandonami;
     Nè pensa che quest’ore unqua non tornano.
     Quinci si trista in cor voce risuonami,
     Che tutti i miei pensier dolcezza obbliano,
     E rio sospetto a rie querele spronami.
     Diva, che gli occhi miei tanto desiano,
     E che nuove vaghezze oggi in te sorgono,
     Che dal mesto Titon si ti desviano?
     Deh se tue belle ciglia ora mi scorgono,
     Mira, che gli occhi miei lacrime piovono;
     E che mentre dal cor preghi ti porgono,
     Mie voci co’ sospir l’aria commovono.
Oceano.
Dispensator dell’ammirabil lume
     Che su destrier volanti
     L’universo correndo orni, e rischiari;
     Perchè non sáli per gli eterei campi?
     Ed oltre al tuo costume
     Lento soggiorni nel gran sen de i mari?
     Se de gli eterni lampi
     Febo sei scarso al mondo,
     Le strida de’ mortali al Cielo andranno;
     Che ’l pianto è grande, dov’è grande il danno.
Febo.
O dell’onde infinite
     Sommo rettor tu mi condanni invano:
     Almo padre Oceano
     Al viaggio del di già non son lento:
     Ecco i destrier, c’han nelle piante il vento,
     Sì, son disposti al corso;
     Mira l’aurato morso
     A tutti intorno biancheggiar di spuma;
     Par che di calpestar gli alti sentieri
     Ciascun avvampi, ed arda:
     Nè la mia destra allo sferzar fia tarda.
Oceano.
Dunque a’ destrier focosi allenta il freno,
     E fa sonar le luminose rote
     Su per lo smalto del bel ciel sereno.
Febo.
Come poss’io, se non appare ancora
     Con la fronte di rose, e co’ piè d’oro
     A farmi scorta nel cammin l’Aurora?
Oceano.
Perchè cotanto indugia
     La ruggiadosa Diva?
     Già per l’addietro di volarti innanzi
     Mai non mostrossi schiva?
Febo.
Forse Titon con amorosi preghi
     Seco ritienla, e le fa forza al core;
     Che ogni termine sprezza,
     Ed ogni freno, ed ogni legge Amore.
     Uno del Coro delle Deità marine.
     Il fanciul, che raccende
     L’aria di sì bei rai
     È forse Amor, ch’inverso noi discende?
     Un’altro dello stesso Coro.
     Amor è, rimirate
     E la faretra, e l’arco
     Che mortalmente impiaga;
     E pur ogn’alma di sue piaghe è vaga.
Amore.
Illustrator del mondo,
     Che ogni cosa discerni;
     Omai disfrena i corridori eterni,
     E sta del mar in fondo;
     La bellissima Aurora a te non torna,
     E sai che senza Aurora
     La notte non s’aggiorna.
Febo.
Come, come, non torna? e che raffrena?
     E chi da me disvia
     La bella scorta mia?
Amore.
Questa immortal faretra
     Halle ferito il petto,
     E sì dolce diletto
     Ella un bel viso rimirando impetra,
     Che di te non rammenta
     E non rammenterà, se pria non chiudo
     Quella percossa acerba,
     E non spargo di mele i suoi martiri,
     E non le dono il fin de’ suoi desiri.
Oceano.
O dell’alte quadrella
     In terra, e in mar saettator famoso,
     Espugnator d’ogni volere avverso,
     Dolce soggiogator dell’universo,
     Oggi che fai? che tenti?
     Mira, che sull’Olimpo errano indarno
     I gran lumi celesti,
     Se ’n questi bassi fondi il Sole arresti.
Febo.
Nulla forza contrasta
     All’invitto valor del tuo volere,
     Ogni possanza trema