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DEL CHIABRERA 323

Non credea tanto rimirar splendore
     Su per le scene del real diletto,
     Che tuo nome illustrando, io trar nel petto,
     Quinci dovessi mai voci canore.
Ma chi fra rei furor del mondo armato
     Con amabile pace apparve altiero
     A nulia impresa volgerà il pensiero,
     Che tacer possa l’immortal mio fiato.
Figlio di genitor, ch’almi, e soavi
     Secoli adduce col valore egregio,
     E genitor di figli, il cui gran pregio
     La gran virtà trapasserà degli avi.
Segui il tuo stil, poni il fier Marte in bando,
     Cerere prezza, orna la bella Astrea,
     Diletto al Ciel fatti beato, e bea;
     Io di te sempre volerò cantando.


VEGGHIA DELLE GRAZIE


PROLOGO

L’occasione, ed il soggetto è così fatto: Amore infermo è preso a ricrearsi dalle Grazie con una Vegghia, e per invitare a così nobile festa mortali ed immortali, Iride ne va parlando per l’universo. Di qui le ninfe di Pomona lasciate le campagne s’inviano colà, ed i Numi di Silvano dolenti per non le vedere nell’usate foreste, sono dalla Fama informati, perchè elle siano partite, e si consigliano di raggiungerle per via; essi così fanno; e raggiuntele vanno danzando alla Vegghia. Ciò fassi da sei dame, e sei cavalieri in maschera convenevole a personaggi rappresentati. Fornito poscia il loro ballo, si danza nella sala senza maschere, e la danza è partita da due intermedj.


IRIDE.

Amor d’altrui ferir non mai pentito
     I suoi dardi a provar volse il pensiero,
     Ed un di quelli, ond’è più forte arciero,
     Gli punse alquanto, e sanguinògli il dito;
     Ei forte lagrimò sulle sue pene;
     Ch’alma nuova al dolor male il sostiene.
Idalia pronta, e con materno affetto
     In lui tempra il dolor, ch’aspro s’avanza;
     Ma l’alme Grazie d’ammirabil danza
     Prendono a procacciargli almo diletto,
     E dolce a ricreargli i sensi afflitti
     Nell’alto albergo, e nel real de’ Pitti.
Alme leggiadre, che d’amore al foco
     Desiate affinar vostri desiri,
     E di lui sotto al giogo aspri martiri
     Un lieto sguardo vi rivolge in gioco;
     Gite a colà bearvi, ove soggiorna
     Somma beltà che l’universo adorna.
Neve, che Borea sparga in gioghi alpini,
     Rosa, che in bello aprile Alba colori,
     Oro, che sotto il Sol vibri splendori,
     Perde co’ volti, con la man, coi crini,
     Ma col lampo degli occhi, in ciel sereno
     Febo, che ’n alto ascenda anco vien meno.
La Fama parla a’ cavalieri mascherati.
Non turbate le ciglia,
     Nè contristate il petto, o delle selvelu
     Pregiati abitatori, ed a Silvano
     Carissima famiglia;
     Le sospirate ninfe
     Dell’immortal Pomona
     Volsero a queste piaggie il pie leggiero,
     Vaghe di gir colà, dove sull’Arno
     Oggi fassi ad Amore
     Per l’alme Grazie d’ammirabil danza
     Un non usato onore;
     Movete i passi a ritrovar per via
     La bramata sembianza; ecco apparirle;
     Ormai porgete al bello avorio, e biance
     Di quelle nude man le vostre destre,
     Fortunato sostegno
     Per l’alto calle all’affannato fianco;
     lo moverò d’intorno, e farò conta
     La peregrina festa,
     Che dalle belle Grazie
     Al bello Amor s’appresta.
(Qui i cavalieri mascherati pigliano le dame mascherate per mano e ballano.)

INTERMEDIO PRIMO

Fassi dalla Gelosia, e dagli Amori.

Gel. Fra vaghi balli, e canti
     Nella regia Tirrena
     Godono con Amor notte serena
     L’alme di mille amanti,
     Ed io sempre di pianti,
     E ministra d’affanni
     Oggi con esso lor sarò men ria?
     Io di serpenti armata,
     Io cruda, io dispietata,
     Terribil Gelosia?
E pur troppo ho sofferto,
     Il caro varco aperto
     A così gran gioire
     Con la mia forza si rinchiuda omai;
     Non fia, non fia per certo;
     lo seguirò mio stile;
     Ov’è valor, la sofferenza è vile;
     E facciansi i diletti
     Nel fondo de’ lor petti
     Un’Oceán di guai.
     I begli occhi lucenti
     Non mai vibrino raggio,