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330 POESIE

     Che sovra i miei costumi
     Altri possa mentire, ed aver fede
     Di non perder credenza?
     Rispondi, che sai dire?
Meg. Mi costrinser le Ninfe
     Sotto pene di morte a far palese,
     Perchè sì sconosciuto
     Qui facessi soggiorno;
     Così costretto io dissi
     Esser forza d’amore.
     Fecer comando poi, ch’io rivelassi
     Il nome della Ninfa, onde era amante,
     Dissi chiamarsi Clori.
     Dissi così, perch’era vero, ed anco
     Per provar l’onestà dell’amor mio;
     Certo la tua virtù ben conosciuta
     Non è per consentire
     Ch’a te si volga alcuno
     Con biasmevol desire:
     Chiedi, qual cosa mi facesse amarti?
     Io ti rispondo, o Clori,
     Bellezza ed onestate,
     L’una e l’altra infinita;
     Ora, s’amar per cotal guisa è colpa,
     Debbo perder la vita.
Clo. Parole lusinghiere
     E ripiene di froda; ove giammai
     Vedeste me? rispondi;
     Parla omai; fa ch’io ti oda.
Meg. Pur or si compie l’anno,
     Che tu venisti in Elide alle feste
     Su le rive d’Alfeo;
     Colà ti rimirai;
     E sì fatto mirare
     Chi s’intende d’amor suole chiamarlo
     Ardere, e consumare.
Clo. E chi d’amore è preso
     Ha da vestir panni mentiti? ed indi
     Dimora fare in divietate selve?
     Sprezzar decreti; rompere costumi
     Di popoli onorati?
     No, non per certo; abbiamo
     Legge contra costor, ch’in Erimanto
     Abbia da gir sommerso,
     E tu certo v’andrai,
     S’a manifesta colpa
     Deve seguir la pena;
     Fingi, e menti, se sai.
Meg. Quanto di sopra ho detto,
     Dissi per obbedire tue parole,
     Che chiedean mia risposta;
     Io non mi scuso, affermo
     Esser degno di morte;
     Eccomi in vostra forza;
     Non è chi vi contrasti,
     O per me metta voce.
     Per questo condennato
     Non è padre, che pianga,
     Non fratel, che sospiri,
     Non madre, non sorella,
     Che vi si getti a’ piedi,
     Clori, non infiammare
     Lo sdegno di costoro;
     Io vuo’ morir, tu ’l vedi.
Clo. Ora a voi, padri, e che di questi monti
     Conservate le legge che vegghiate
     Su la nostra salute
     Con pregio di valore,
     Altro non posso dir, salvo che pende
     Dalla vostra sentenza il nostro onore;
     Costui non può negare, e non vi nega,
     Che sapea nostre usanze, e non per tanto
     L’ha rotte, e disprezzate
     Con malvagio disegno;
     Quanto a l’animo suo, quanto appartiensi
     A’ suoi pensier, noi siam tutte impudiche;
     Sì fatte ei ne bramava; or voi pensate
     Alla colpa, a l’esempio,
     Ch’altri ne piglierà, se ’l sopportate;
     Pur or per la mia lingua unitamente
     Qui sono a ripregar tutte le ninfe,
     Che la loro onestà per voi secura
     Sia fra queste montagne; io certamente
     S’egli ha scampo da voi,
     Ma tal disavventura io non aspetto,
     Scelgo il più forte stral da la faretra
     Per trapassargli il petto; io più non posso
     Qui stare a rimirarlo,
     Contra ira m’accende;
     Andiam, Leucippe, andiamo
     A ritrovar l’amate
     Nostre compagne, e voi,
     Fate, ch’oggi apparisca
     Vostro senno e bontate.
Mon. Non porremo in obblío
     Nostro dovere, e farem sì, ch’altrove
     La giustizia di noi
     Chiara risplenderà
     Non mossa da disdegno,
     Nè da pietà; tu, se ti piace, omai
     Garzon mal consigliato
     Adduci tue ragioni, e fa difesa
     Pur per la tua salute
     In sì dubbioso stato.
Meg. Pur dianzi io dissi, ed ora vi confermo,
     Che posto in grave ardore
     Per la beltà di Clori, io fei pensiero
     Di cangiar panni, e simigliarmi a Ninfa;
     Frodi, ch’insegna Amore;
     Erano miei disegni,
     Per ogni guisa lusingarla, e quando
     Al suo gentil giudizio i miei costumi
     Per suprema ventura
     Giunti non fosser vili,
     Sì che l’alto suo cor fosse piegato
     A non avermi a scherno,
     Allora io proponea farle palese
     Tutti gl’inganni, ed anco i miei desiri;
     E s’ella non sdegnava
     Meco sposarsi, per tal via sottrarmi
     A gli immensi martiri:
     Tali fur miei pensieri;
     Furo malvagi, e quinci
     Stati sono infelici.
     Io ben v’affermo, e testimonio chiamo
     E cielo e terra, e quel che gli governa,
     Signore onnipotente,
     Mai dal petto di Clori,
     Mai da quel duro core
     Compresi uscir parole,
     Ch’odorasser d’amore;
     Sempre dardi e faretre,