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del chiabrera | 23 |
XXIX
PER MARCANTONIO COLONNA IL VECCHIO
Difese Verona da’ francesi.
Mentre altier fulminava
Chiuso tenendo il forte petto e ’l tergo,
Dentro dorato usbergo,
Là dove Adige lava,
5Videro Euterpe e Clio, coppia canora,
Il mio gran Colonnese,
Delle cui palme Italia alma s’onora;
E le sublimi imprese
Féro sonar quanto Ippocrene infiora
10Il Castalio paese:
Or dolce il cor mi tocca
Febo a rinnovellar sua gloria antica;
E perchè dolee io dica,
Di mel m’empie la bocca.
15Deh chi mi dà la lira,
Sulle cui corde è buon poeta arciero?
Tacersi è rio pensiero,
Se il Cielo a dir ne ispira.
Qual per le piagge Mauritane ardenti
20Il gran Re delle fere,
Se mira incontra sè selve pungenti,
Scuote le giubbe altere,
Ed empie di terror spumoso i denti
Le cacciatrici schiere;
25Tal nel più fier periglio
Tremaro il gran Roman l’armi di Fancia,
O s’ei vibrò la lancia,
O se rivolse il ciglio.
Ma io tra il vulgo di rossor non porto
30Le guance mai cosparse,
Se corto canto, o citareggio corto;
Taccia il vulgo; bell’arte
E per breve sentir condursi in porto.
O progenie di Marte,
35Dell’ali tue men forte
Aquila poggia, ancorchè d’Ida al monte
Rapì la bella fronte
Per la stellante Corte.
XXX
A DON FERDINANDO GONZAGA
PRIOR DI BARLETTA.
Mantua, che lieta di bei laghi in seno,
Siedi Reina delle Ninfe Ocnee,
Che gloria darti in su Castalia dee
4Mia bella Clio, per onorarti appieno?
Per l’alta Manto peregrina egregia,
Onde sorgesti, il nome tuo risplende;
Te del Mincio seren l’onda difende,
8Cerere l’ama, e Tioneo ti pregia,
Oltra ogni paragon cara e gradita
Al biondo re dell’immortal Permesso;
Ma come agli onor tuoi puossi gir presso?
12Non si varca per uom strada infinita.
Ed io son lasso, ma nel petto interno
Sentomi oggi spirar breve parola,
Che vie più la tua fama alto sen vola
16Per gli Eroi, che tuo scettro hanno in governo.
O se la forza dell’odioso obblío
Tra nembi rei non avvolgesse il nome
Di tanti in te prima regnanti; oh come
20Fora ricco di Duci il cantar mio?
Mantua, non parlo a voto; onda, che pura
Versa Ippocrene, i pregi umani indora,
E l’empio tempo, che crudel divora,
24I nomi illustri finalmente oscura.
Ma scudi, brandi, e travagliar di Marte
Non inasprino note al cantar nostro;
Cantiamo i grandi nel fulgor dell’ostro,
28Dono del Ciel, che ’l Vatican comparte.
Qual lampo di virtuti eccelse ed alme
Entro i mortali orror non gli fe’ chiari?
Con viva fè nel tempestar de’ mari
32Sempre zelanti pescator dell’alme.
Roma, che serbi in te la rimembranza
Di quei felici trapassati giorni,
Che per lo stesso sangue anco ritorni
36La medesma stagion, prendi speranza.
Veggo, come dall’Indo apparir suole
Dal Mincio un’Alba, che in più salda etate
Sarà per entro il Ciel della bontate
40A tua chiarezza e tuo conforto un Sole.
Ned io vaneggio, orma imprimeva appena
L’erculeo piè su la Tebana riva,
Che dell’infante meraviglie udiva
44Dal buon Tiresia la gioconda Alcmena.
Nè si tenne Chiron, quando in Tessaglia
Ardea d’Achille il pargoletto ingegno.
Ma predisse a Peleo l’alto disdegno;
48Che Troja afllisse con mortal battaglia.
XXXI
PER ENRICO DANDOLO
DOGE DI VENEZIA.
Tosto, che di valor s’erge sublime
Anima fortunata,
Che di vil plebe non saetta il segno,
Del bel Parnaso in sull’aeree cime
5N’alzan voce beata
Le vaghe Dee, ch’anno ivi eterno il regno.
E su canoro legno
D’auree corde felice
Move destra per lei Febo lucente
10Della Morte, e del Tempo espugnatrice:
Arida Invidia, che da lunge il sente,
Gonfia il cor di venen, geme dolente.
Ma tra’ mortali invidïosi e rei,
Cigno di Dirce amico,
15Soavi modi lusingando spira:
Dunque, benché sonar plettri Febei,
Già fe’ il Dandolo Enrico,
E come non mortal Pindo l’ammira.
Tu la Tebana lira
20Alto contempra all’arco;
Di’, che di Tifi ei pria s’aprì con l’arte,
Indi col ferro, al gran Bizanzio il varco,