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del chiabrera 367

fizio di poetare. Or io col riguardo dovutosi alle persone grandi, ed alle grandissime, io darò loda somigliante ad Ottavio Rinuccini; perciocchè egli non studiò scienza nessuna, ed anco della lingua latina poco fu esperto; non pertanto egli mise mano a diverse maniere di poesia, e fecesi chiaro per tutta Italia, alla quale tutta non mezzanamente fu caro; ebbe una vena di verseggiare sonoramente, e verseggiava con agevolezza non picciola, e con saldo giudizio scorgeva il migliore, ed il fiore coglieva di celebrati componimenti; ed in ciò fare fu da tenace memoria sostenuto; ed anco appigliossi a novelle maniere, e fu il primiero che in sulla scena conducesse a rappresentarsi favole cantate, della quale impresa raccolse gloria, e trasse altri a seguire i suoi trovamenti. Firenze e Mantova con nozze Reali ne feciono testimonianza, la quale tuttavia dura, ed è per non mancare in picciolo tempo; perciocchè in una si cantò la sventura di Euridice, e nell’altra l’abbandonamento di Arianna, quella musicata da Giacomo Peri, e questa da Claudio Monteverde. Nè solo suo pregio furono le poesie, ma suoi costumi furono oltramodo gentili usando fra le persone; nè parve poeta da riporsi fra luoghi solinghi, ma sì da passeggiare per palagi reali, ed altissimi, e da fare con buona accoglienza raccorre le muse nelle stanze degli altissimi Principi. Giunse sull’orlo di sessanta anni, e morì in Firenze là dove nacque di sangue ben chiaro, lasciando non punto vile la memoria della sua vita. Ora avvegnacchè queste cose sien vere, non è già da contrastarsi, che colui farassi sovrano, in cui lo studio solleverà, e la natura non verrà meno allo studio.



Giambatista Strozzi nacque di Lorenzo Strozzi, e di Lucrezia Tornaboni, e di qui appare, che sua patria fu Firenze, e siccome fu il sangue gentile, così le ricchezze furono mezzane. Lasciò che un fratello si maritasse, ed egli consegnossi intieramente alle lettere; fa alto di persona, e di riguardevole aspetto; gli occhi ebbe sempre deboli, e crescendo gli anni fu nella vecchiezza abbandonato dalla vista; per altro di complessione gagliarda. Di quest’uomo ho da dir brevemente qui alcuna cosa, e se quei ragionamenti sogliono desiderarsi, i quali cose leggiadre raccontano, ed agli ascoltatori fan giovamento, parmi averne per le mani un sì fatto. Egli ancor giovine ascoltò maestri di Filosofia in Pisa tanto, quanto alle belle lettere dovessero dare splendore, alle quali egli studiando, rivolse l’animo affatto; e nelle prose divenne grande, nè punto picciolo volse rimanere nei versi. Di questo fece varie sperienze, ed in molte maniere trattonne; perciocchè lesse nelle Accademie sovente, e disse nelle chiese assai volte; in verso compose sonetti, madrigali, e canzoni, ed anco epistole spargendole di concetti morali, e delle lodi de’ Signori, ch’egli onorò; e fu di buon grado sentito in Firenze da sublimi intelletti, ed in Roma da personaggi, ed ingegni illustrissimi; e veramente in poche parti o verseggiando, o proseggiando lasciò che alcuno gli fosse superiore; ma nella candidezza, e nella gentilezza della favella egli si fece superiore a ciascuno. Avrebbe volentieri tentato il poema eroico, il cui peso egli sentivasi forte a sostenere; ma l’infermità degli occhi, e gli sconci, che l’accompagnano, ne lo distolsero; non per tanto sopra l’onore, il quale egli acquistò dai volumi scritti, fu commendato di questo ch’egli averebbe saputo scrivere. Qui farei punto, se io ragionassi d’uomo semplicemente letterato; ma per lo Strozzi fa bisogno ritornare da capo tali furono suoi costumi, e le virtù dell’animo suo. Non fu cittadino sì ricco, il qualo possa darsi vanto di averlo soverchiato di liberalità; giovinetti di buon talento egli raccolsegli in casa, e procacciò, che si formassero di dottrina, ed alcuni chiarissimi ne son divenuti; peregrino di fama non trapassò per Firenze, che egli non gli desse albergo, o almeno alle sue tavole non l’onorasse, prontissimo a spendere suo favore co’ Principi per chiunque gliene facesse ragionevole preghiera; e conosciuti appena da lui, amogli siccome amici, e gli amici siccome se stesso; ed è vero che di sua bocca non esce parola, la quale altro non sii che loda di ognuno; il suo animo sempre fu, ed apparve cristiano, e nell’afflizione degli occhi infermi mantiensi non solamente con pazienza, ma con franchezza; argomento ne sia la giocondità; poichè seco non può compagno dimorare salvo che lieto. Per tutto questo amato fu, e conosciuto da pari suoi singolarmente, ed i grandi, e principi di titolo lo pregiano, ed i sommi Pontefici l’ebbero caro. Egli al presente è sul settantesimo sesto anno, e vivesi con intiera sanità, e ci promette, che anco lungamente farà godere della sua presenza, conciòsiacchè suoi modi temprati gli fanno schermo da ogni assalto di malattia. Ho parlato di uomo sì fatto poco, e scarsamente, e ne abbia colpa il mio piccolo sapere, e fui per non farne ragionamento pure perciò; ma da altra parte non è giusta, nè ragionevole cagione tacere degli uomini solo perchè delle loro qualità a compimento non possa parlarsi; che in tal maniera all’altrui valore, quanto egli fosse più sovrano, si verrebbe maggiormente meno, e darebbesi bando allo scrivere, essendo pari fatica lodare coloro, i quali per nulla adoperare al mondo son sicuri e mal conosciuti, e coloro, che con nobili operazioni si son rischiarati; che per gli uni mancano degne parole, e per gli altri degne azioni. Ora dello Strozzi fassi memoria, acciò abbiasi esempio, in cui riguardando gli uomini, possano non pure farsi savj, ma con felicità divenire più buoni.