Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/40

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del chiabrera 27

     Ver cui mirando gli Ottomani arcieri,
     Colmano di spavento occhi, e pensieri.
O Febo, o Sagittario almo di Delo,
     Forniscimi di piume,
     45Ma di veloci oltre l’uman costume,
     Ma di possenti a sollevarmi al cielo;
     Non mai di precipizj orror mi prese,
     Servendo a’ veri onor d’Eroe cortese.
Qual è dal negro Eusino al mar d’Atlante
     50Inespugnabil mole?
     O qual ne i gorghi, onde risorge il Sole,
     Tiranno forte a non cangiar sembiante,
     S’ei mira a volo su i Nettunii regni
     Gir minacciosi di Toscana i legni?
55Oh come risuonar forti catene
     Sentesi ognora! oh come
     E ripercoter petti, e stracciar chiome,
     E con pianti inondar scogli ed arene
     E chiamando Maoma, ululi e gridi
     60Scotere il cielo, e di Livorno i lidi!
Ma tutto intento a’ sacrosanti altari
     Il vincitor sospira.
     Chi pugnando quaggiù palme desira,
     Il Rege eterno ad adorare impari.
     65A’ cenni suoi non è contrasto; ei tuona
     Sul rubellante, egli il Fedel corona.

XXXVI

PER BARTOLOMMEO DALL’ALVIANO

GENERALE DE’ VENEZIANI

Fu a ricuperare Terra-ferma, vinse nel Friuli i Tedeschi.

Certo avverrà, che di Nettun fremente
     L’unica Sposa le sals’onde avvive.
     Là dove alta Reina
     Siede in perpetuo stato,
     5E l’alma fronte rassereni a’ canti,
     Che ha di Parnaso il Livian guerriero.
Però ch’ei solo al mansueto impero,
     All’auree leggi della nobil gente,
     Or de’ fiumi sonanti
     10Sulle gelate rive
     Ed or dell’Alpi in fra le selve armato1
     Valse a cessar barbarica ruina.
Sempre là dove il Cielo aspro destina2,
     Sen vola in cieca notte uman pensiero;
     15Ma s’era nostro il fato,
     Lungo l’Adda corrente,
     Italia mia, che sospirosa or vive3,
     Fatta era Flegra de’ più rei Giganti.
Vivace amor, troppo trascorri avanti;
     20Non sai, che a largo dir pena è vicina?
     Seguasi dunque, o Dive,
     Per l’immortal sentiero,
     E l’atra stige, il Cavalier possente
     Fugga sull’ali al corridor stellato.
25Dolce bramar, che su nel Cielo aurato
     Non sorga al nostro giorno Alba di pianti;
     Nè ch’Espero dolente
     Caschi in onda marina;
     Ma quando assale empio Orione e fiero;
     30Tifi è nocchier, s’avvien, che in porto arrive.
Chi dunque meta, o Livian, prescrive
     Nel Ciel di Marte al tuo gran nome alato,
     Se tu raccogli altero
     Dalle sventure i vanti;
     35Nè più che al verno antica rupe alpina,
     A sorte avversa il tuo valor consente?
Te dentro il sangue, te nell’armi ardente,
     Quasi orribile tuon, fama descrive,
     Te l’alta Senna inchina,
     40Te il Parto faretrato,
     Te dell’Istro nevoso ancor tremanti
     I gorghi, e i gorghi del superbo Ibero.

XXXVII

AI SIGNOR FRANCESCO DI CASTRO.

Poichè l’ingegno uman feroce e duro,
     Tutto rivolto agli altrui danni, e scorni,
     Converse in terra de’ Saturnii giorni
     Il bell’ôr fiammeggiante in ferro oscuro;
5Turbaro nembi il ciel sereno, e sorse
     Schiera di febbri a nostro scampo infesta,
     Nè pur sotto Orion cruda tempesta
     I larghi campi di Nettun trascorse,
Navi affondando; ma di fiamma inferna
     10Nuova Etna vomitò Chimera ardente;
     E crescendo fra piaghe aspro serpente,
     Ingombrò di terror gli antri di Lerna.
Taccio di Creta ne’ Dedalei chiostri
     Il Minotauro, o miserabil mondo,
     15Se a pro di lui non si spingeano al fondo
     Per forti destre i formidabil mostri.
Ben all’anime eccelse inni festosi
     Sacrò la gente, e loro sculse acciari,
     E ben a gran ragion gli astri più chiari
     20Ornò col pregio degli Eroi famosi.
Che se virtù de’ suoi fedeli i petti
     Forte eccitando a sommi rischi espone,
     Giusto è, che non indarno auree corone;
     Di bella gloria a lor conforto aspetti.
25Dolcissimo ad udir: nè tempro invano
     La cara cetra, ed oggi teco il dico;
     Che benchè io parli del buon tempo antico,
     Da te, Francesco, io non men vo lontano.
Tu de’ nobili Regni, onde si bea
     30Napoli altera, già reggesti il freno,
     Ed a ben farla fortunata appieno,
     In saldo seggio vi fermasti Astrea.
Sotto l’inclito scettro umil fortuna
     Timor non ebbe di superbo orgoglio;
     35Nè Cerere sofferse in fier cordoglio
     Rimirar di sue spiche alma digiuna.
Or caro al grande, ne’ cui regni il giorno
     Agli occhi s’apre de’ mortali, e chiude,

  1. Bartolomeo d’Alviano acquistossi gran nome per la campagna d’inverno nel 1508 nelle Alpi Giulie contro l’imperatore Massimiliano; sconfisse e distrusse a Cadore le truppe imperiali comandate dal duca di Brunswik.
  2. Vale a dire: Se il Cielo vuol punire alcuno, gli oscura la mente.
  3. Allude alla battaglia di Ghiara d’Adda, nella quale i Veneziani nel 150g furono sconfitti, e l’Alviano lor generale fu fatto prigioniero.