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Pagina:Opere (Chiabrera).djvu/57

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44 poesie

     La beltà che perduta anco l’incende;
     E l’inferno accusò, che non apprende
     Esser giammai pietoso.
10Quando Febo risorge, alto sospira;
     E quando in grembo all’onde
     Sue ruote egli nasconde,
     Pur tra caldi sospir tempra la lira;
     Temprarla sì, che giù dall’Alpe tira
     15Ad ascoltar veloci
     L’aspre vestigia dell’orribil orso,
     E pardi e tigri varïate il dorso,
     E gran leon feroci.
Il sì mirabil suono in guardia prese
     20L’armonïosa Clio,
     E vinto il crudo obblío,
     Dall’ingiurie Letée sempre il difese;
     Ma quando i tanti pregi il mondo intese,
     Ingombro di stupore,
     25Alla fama gentil negò sua fede;
     L’invidïoso ingegno uman non crede
     Supremo altrui valore.
Ha vôto appien di gentilezza un petto,
     Se Pindo disonora;
     30Lassù Febo dimora,
     Ned egli unqua in mentir piglia diletto;
     Come non crederassi il nobil detto,
     Onde ad ognor più viva
     Vola la gloria dell’estinto Orfeo;
     35Se miracolo pari alto Imeneo
     Fa d’Arno in sulla riva?
Qui tra le pompe delle regie feste,
     Ove sotto occhi ardenti
     Le räunate genti
     40Rapina fansi di beltà celeste,
     Veggio destrier cui le superbe teste
     Ornano almi piropi,
     Cui s’ingemma l’arcion, s’ingemma il freno,
     Cui sul dosso i tesor non vengon meno
     45Arabi ed Etïópi.
Volgono sotto il ciglio i guardi arditi,
     E sdegnano ogni posa;
     Fan con bocca spumosa
     Fieri per l’aria risonar nitriti;
     50Ma non sì tosto han sulla cetra uditi
     I modi onde s’informa
     Alle volubil danze umana cura,
     Che ubbidïenti alla gentil misura
     Essi stampano ogni orma.
55Ora rapidi van come per l’alto
     Aquila in suo cammino;
     Or sembrano delfino,
     Quando per l’onde egli solleva il salto;
     Or per obbliqua via, quasi in assalto,
     60Pur con lena affannata
     A’ faticosi piè non dan perdono;
     Ne mai rubella delle corde al suono
     Suona l’unghia ferrata.
Clio, che sparsa di gigli il sen riluci,
     65Succinta in gonna d’oro,
     E tu, che il nobil coro
     Per le Castalie vie, Febo, conduci,
     Se ai destrier degli Adrasti e de i Polluci
     Tra varj canti egregi
     70Festi d’Aonj fior vaga ghirlanda,
     Nembi di rose vostra man mi spanda,
     Onde oggi questi io fregi.
O forse è meglio sollevare il core
     A più sublime segno,
     75E travagliar l’ingegno,
     Spronando ad alte imprese il lor Signore?
     Via, Musa, avventa di superno ardore
     Fervida vampa e chiara;
     Mio Re sfavilla negl’incendi tuoi;
     80Vile il diletto agl’immortali Eroi,
     Ma vera gloria è cara.
Cosmo, pon’ mente a quale gloria ascenda
     Tuo genitore, e come
     Di Ferdinando il nome
     85D’Anfitrite su i regni inclito splenda;
     O che veleggi suo naviglio, o fenda
     Pur col vigor dei remi
     I salsi campi di Nettuno avverso,
     Vien, che ogni mostro, di pallore asperso,
     90Inconsolabil tremi.
Or se a perfidi cor, solcando l’onde,
     Ei fa lodevol guerra,
     Tu fulminando in terra
     Destina il crine all’Apollinea fronde;
     95I cavalli, che d’Arno in sulle sponde
     Sanno le piante intorno
     Movere al cenno tuo leggiadre e pronte,
     Pensa che sovra il Nil, sovra l’Oronte
     Hai da spronarli un giorno.

LXV

PER LE DAME

Che ballarono mascherate nella vegghia delle Grazie.

Pitti, albergo de’ Regi,
     Per le stagion festose,
     Quai nelle notte ombrose
     Furo i maggior tuoi pregi?
     Quando udisti d’Orfeo note dogliose
     Per la città di Dite?
     O quando il piè d’argento
     In te degnò mostrar l’alma Anfitrite:
     O quando a bel concento
     Di tamburi guerrieri
     Fur tanti Duci alteri
     D’infinito ornamento?
No, ch’io ti vidi in seno
     Mar, che assorbe ogui fiume;
     Sol, che oscura ogni lume,
     Ti vidi in sen non meno;
     Ma s’invidia destarsi ha per costume
     Ver l’altrui sommo vanto,
     Ella si desta in vano,
     Quando di Pindo si rinforza il canto;
     Dunque l’arco Tebano
     Arma, Euterpe celeste,
     E l’invidiosa peste
     Sia spoglia di tua mano;
Allor che il Sol depone
     I rai dell’aurea fronte,
     Di famiglie più conte
     Sedeano alte corone;
     Loreno, onde il Giordano, onde l’Oronte
     Di libertà fur lieti;