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del chiabrera 69

     65O Anime Reine
     Delle virtù Latine.
Stan lungo d’Ambro i lidi
     Di Prospero gli allori1;
     Mille armati sudori,
     70Mille onorati gridi;
     E poco dianzi in Campidoglio io vidi
     Nuovi titoli egregi2;
     E giù da nobil Archi,
     Scorno a’ barbari Regi,
     75Pender faretre insanguinate ed archi,
     E mille spoglie appese
     A più gran Colonnese.
Caro giocondo giorno,
     Quando all’amiche voci,
     80Quando a’ bronzi feroci
     Tonava il Cielo intorno;
     E di auree gemme, e di ghirlande adorno,
     Su candido destriero,
     Trionfator Romano,
     85Traca sua pompa altero
     Alla Reggia di Pietro in Vaticano:
     Dolce pompa a mirarsi,
     E dolce ad ascoltarsi.
Allor tu Pargoletto,
     90Emulator paterno,
     D’alto valore eterno
     Tutto infiammasti il petto;
     Ma morte il tuo valor prese in dispetto.
     Dunque alla patria riva
     95Gente barbara strana
     Non condurrai cattiva?
     O conversa in dolor gioja Romana,
     O glorie, o nostri vanti
     Fatti querele e pianti!

II

PER LATINO ORSINO

DELLA MENTANA

Che dopo molto guerreggiare morì di gocciola.

Or che a Parnaso intorno
     Cogliendo io giva del fiorito Aprile
     Qual più gemma è lucente,
     E ne sperava adorno
     5Ad onta della morte il crin gentile
     Dell’Italica gente,
     Già, lasso me, già non credea repente
     Far di lagrime un fiume,
     E pianger dell’Italia un sì bel lume.
10Ma non sì tosto ascende
     Febo sul dorso a’ suoi destrier focosi,
     Che insuperabil sorte
     Piega grand’arco, e ’l tende,
     E spinge incontra noi strali dogliosi,
     15E saette di morte:
     Forte è fra’ venti procellosi e forte
     Scoglio fra l’onda insana;
     Ma non è forte la letizia umana.
O chiaro, o nobil Duce,
     20Ben dietro Marte rivolgesti il piede
     Per sentier di sudore;
     Ma qui tra l’aurea luce
     Non fu man pronta a dispensar mercede
     Al degno tuo valore;
     25Ed or, che orrida, morte in tetro orrore
     Ha tuo guardo sepolto,
     Nè pur pietate in tua memoria ascolto.
E forse fatta ingrata
     La bella Italia alla maggior fortezza
     30De’ Cavalieri egregi?
     O pur stima beata
     Per se medesma la virtute, e sprezza,
     Che altri l’adorni e fregi?
     Già lungo il Xanto infra Tindarei regi
     35Non fece Achille altero
     Sull’ossa di Patròclo un tal pensiero.
Poscia che i mesti uffici
     A fine ei trasse, e co’supremi ardori
     Fornì gli atti funesti,
     40Disse: o Principi amici,
     Son di vera virtù premio gli onori
     Per l’Anime celesti:
     Su dunque l’armi, e sè medesmo appresti,
     E con amiche prove
     45Gli onor ciascun del mio Guerrier rinove.
Quinci bellezze elette,
     Reïne d’Asia incatenate offerse
     A’ giostrator vincenti;
     Offerse armi perfette,
     50Spoglie di gemme e di grand’or cosperse;
     Ed aratorj armenti:
     Così dardi volanti, archi possenti,
     E corridor veloci
     Mossero in prova i Cavalier feroci.
55Ma or di qual pietate,
     O son di qual onor tuoi merti in terra,
     O buon Latin, graditi?
     Qual è, che pompe armate
     Ti sacri? o Roma, che il tuo cener serra,
     60Pur a pregiarlo inviti?
     È forse assai, che di Savona a i liti
     In solitaria riva
     Altri ne canti lagrimoso, e scriva?

  1. Prospero non solo fu il più famoso tra i Colonna che comandarono sotto le bandiere de’ pontefici Alessandro VI, Giulio II e Leone X, ma è noverato fra i più grandi capitani che abbia avuto l’Italia. Fa sempre al comando dal 1494 al 1523, nel qual anno morì, dappoi che essendo al servigio del Duca di Milano, e quantunque vecchio ed infermo, ebbe difeso Milano contro i Francesi comandati dall’ammiraglio Bonnivet che fu costretto a ritirarsi. — I lidi d’Ambro, di che parla il poeta, indicano la pianura lombarda bagnata dal Lambro.
  2. Marc‘Antonio Colonna, detto il giovine per distinguerlo dal precedente, capitanò le navi pontificie alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), la più memorabile del secolo xvi. Egli comando una delle ale dell’armata sotto don Giovanni d’Austria. Nel suo rilorno a Roma il 16 dicembre, accompagnato dal senato e dai magistrati che erano iti ad incontrarlo, ed acclamato dal popolo, salì al Campidoglio, e depose in S. Maria d’Araceli i suoi trofei, a sembianza degli autichi trionfatori Romani.