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Isolino, 115 fuggire, cioè sci o sette bambine del tempo mio e una ragazza intomo ai diciotto, che noi chiamavamo « la grande ». Quanto alle suore, due — suora Clotilde e suor'Anna — gióvani creature, amoróse, che la nostra innocenza, in quegli orrìbili tempi, più che tutt’altro, teneva in un contìnuo sbàttito. Una mattina, noi, raccolte in una pìccola sala, ascoltavamo suora Clotilde. Essa, con la sua voce vellutata e soave, pingèvane le dolcezze della carità. Entra di pressa il giardiniere, e: — suora — dice — un commissario della Repùbblica.... il ciabattino Gar- nier. — Suora ClotilJe, impallidita oltre il suo abituale pallore, si alzò: — ben venga — disse. Ma, a che il permesso? — L*«ex» tiraspaghi, in nome della onnipossente libertà, se l’era già preso. Ecco apparire alla soglia un uomo dal viso tutto oc- i hielli e bottoni, con la sòlita fascia dai tre-colorì, seguito da mezza dozzina di mascalzoni, sùcidi, a strappi, armati di picche. — Cittadina Bcaumont 1 — egli fece, nemmen toccando il berretto, che cortesia non e repubblicana \irtu — rispondi: ci hai qui una cotale Isolina, figlia .di un sedicente conte della Roche-Surville, smoccolato a Parigi? — Suora ( 'lotilde tremò : forse, le sue purissime labbra stavano per proferire la prima bugìa. Senonchè, i nostri occhiettini aveano di già tradita Isolina, anzi, ella s’ avea da lei, sorgendo. Era « la grande ». Oh la gentile figura! svelta, fràgile come un bicchier di Murano: poi, di certe manine! mani sì bianche, sì trasparenti e voluttuose!... — Garnier — proruppe la suora quasi piangendo *— non per pietà! per giustizia. Voi non potete strapparci questa delicata fanciulla, innocentissima. Ella u venne affidata da’ suoi genitori, e i suoi genitori ~>n morti. Fossero anche stati i più malvagi del mondo, che ci può ella mai ? e la Repubblica nostra,
- loriosa, come mai può temere una ragazza, tìmida,
enza parenti nò amici, pòvera.... — Povera? — ghignò il commissario. Con quella miseria alle dita? — e accennò a tre o quattro anelli
