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Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/257

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226 vita di alberto pisani

VII.

Ultimi spruzzi di cattiveria.

Appunto in queirinfàusto giorno, il signor Pietro ebbe il secondo colpetto. Egli rimase due dì sen/.i potere spiccicare parola, i denti serrati tanto, chi* a pena gli si riuscì a introdurre qualche cucchiajo di roba. Nò il terzo colpetto si sarebbe fatto aspettare s’egli avesse saputo, che Enrico in persona era corso dal mèdico e dal farmacista, e che ora sia\a presso di lui, trepidando, in attesa di nuovamente servirlo. E il signor Pietro non rimise un pie’ nella vita (quasi a rincorsa alla morte) se non a prorómpere ingiurie contro la figlia ed all’amato Jj lei. Parca che non trovàssene mai di bastante. Sì ne disse di quelle, che il mèdico confessò ad Enrico ch’egli sentiva più voglia di mandarlo dal babbo che non di serbarlo alla figlia. E, questa, scioglièvasi in làgrime. Voleva proprio suo padre, che non le ne avanzasse una goggia per piàngerlo morto. Vili. Il testamento del signor Pietro. È di mattina; le sei. Il dottore ha detto ad Enrico, che l’ammalato può voltar là di minuto in minuto, e il giovanotto lo disse alla tosa. Sono dieci ore che il signor Pietro tiene chiusa la bocca, e le palpebre giù; rannicchiato contro del muro e ansante; solo, alle prime parole di una domanda d’Aurora che avea sentore di chiesa e di preti, egli, impaziente, fremette. ’ E la fanciulla gli è accosto e gli ha una mano sul fronte, intaintochè, nella medésima stanza, Enrico, dietro di un paravento, aspetta una parola di pace. Verso le sette, il moribondo si volge a fatica,