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26 l’altrieri

stracciamento di cuore, che Wèber lasciò insieme alla vita nel suo «ultimo pensiero».

E gli accordi estremi — note fiacche, soffocate, a sbalzi — singhiozzarono nelle nostre ànime. Già mi si strinse al braccio.

— Guido.... — cominciò debolmente.

La interrogai collo sguardo.

— Andiamo alTaperto.... — Nessuno si oppose: uscimmo.

La viuzza, che per la prima si offriva, storcè vasi, grigia, in mezzo all’erboso punteggiato di scintillanti lùcide, e, non molto lontano, metteva capo ad un rialzo di terra e ad un boschetto di robinie. Prendendola, com’io inachinalmente dava dietro di me un*occhiata? pàrvemi l’alta persona del marchese spiccarsi dall’ardente vano della porta, poi córrere lungo il muro esterno di casa sul quale la luna tendeva lenzuoli di splendente bianchezza; pàrvemi, dico. Noi continuammo il nostro cammino, passo a passo, rat tenendo di parlare.

Con quale fatica la fanciullina si trasse su per l’ascesa ed era dolce salita) come anelante, affranta, si abbandonò sul sedile!

Là c’intorniàvan robinie. L’ombre di esse, una di cui ci copriva, allungàvansi tra le gambe delle panchette, sul suolo, bizzarramente; e, negli squarci da fusto a fusto, scorgòvasi giù sciorinata la campagna, gibbosa, sparsa di villaggi dai lucenti tetti d’ardesia, macchiata da querceti — masse nere, cupe. In fondo, una benda argentina: il Po; al di là, terra terra, un fumoso chiarore (esalazioni appestate): una città.

Appresso, tutto si confondeva col cielo, d un azzurro cinereo, gioiellato di stelle che lappoleggià vano senza posa e dalle quali staceàvansi di tempo in tempo ràpide striscio di fuoco.

Era la calma, solenne; nè la rompeva il mo-