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Panche di scuola 35

tomi su’n materasso imbottito cdi noci. Mi volgo. Mamma fà un leggerissimo fischio.

— Ah! S! via la S, — scoppio allora con gioja. E il serpentello sparisce e la rappresentazione continua.

Per quello che poi riguarda la mia cattiveria, già scrissi a lèttere capitali. Se, alla dolce influenza di Gìa, ella si era per così dire coperta di cènere, ito che fu quel pòvero uccello di passo, di colpo la si sbracciò, io ridivenni un subbisso, e, stavolta, così fuor di misura, con tali caparbietà che sono certo di non aver mai fatto soffrire i miei, come in quel tempo: nè quando misi i denti di latte, nè quando strafallìi gli esami.

Oh disilluso babbino! Il tuo diplomàtico liquefacèvasi al par di un gelato in una calda festa da ballo, ne aggrinzìvano le decorazioni e il vento se le portava: ecco apparire invece un uomo con cappellaccio a gronda, la pipa in mezzo di una barba lunga, incolta, ed un bastone bernoccoluto nel pugno. E intanto, al colonnello di mamma si assottigliava il destriero, diventava di legno, prendendo a poco a poco figura di una enorme scopa, e intanto, lo zio canònico già mi sognava nell’unghie di Tentennino, fatto saltare come un marrone di padella in padella dai diavoletti a coda arroncigliata: stà il fatto che l’eccellente pretone, un giorno, propose a mio padre (e punto ridendo!) di menarmi — lui stesso — alla Diana.... alla Madonna di Efe.... di Loreto od anche, di fare fregare le mie lenzuola contro la cristallina arca di San Galuppo, il tocca-e-sana degli invasati.

Babbo, peraltro, avèa la mente ad una diversa esorcizzazione: il collegio. Io, con tutto il rispetto per il brav’uomo, con la màssima