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Panche di scuola 37

addolori, quando sei castigato, i tuòi ne sòffrono ancor di più.

Ma, fatta la grande risoluzione, importava comunicàrmela. Si titubò. Mamma e babbo accarezzàvano moltìssima fede intorno alla mia delicatezza, a’ mièi sentimenti — essi, dunque, non mi parlàrono di collegio se non dopo un labirinto di andirivieni, un monte di storie, se non presentàndomene l’imàgine attraverso un nebbione di cioccolatini e di giuochi. Pur s’ingannàvano. Io era innamorato del nuovo, del cangiamento, io; per la qual cosa non mi grattai un minuto secondo la nuca — accettài; accettài con tanta facilità, così liberamente, di slancio, che, ne’ mièi arcibuoni parenti, al timore di afflìggermi, al piacere d’avermi persuaso, subentrò una scontentezza profonda pel mio cuore di stoppa, la mia ingratitùdine.

Ed io, approfittando della circostanza, domandài loro una nuova carriola.


II.


Infine, ivi bene a un mese, venne il dì posto, quella mattina freddotta e poco appresso il Natale in cui il carrozzone della famiglia, verde chiaro o, piuttosto, sporco, greve, vasto come lo richiedeva il guardinfante di mia bisàvola (chè esso avèa condotto dalia Germania al nonno di babbo la baronessa di Staubibach sua sposa) stette, con le nostre due spelacchiate rozze dai finimenti tre quarti corda ed uno corame, davanti alla gradinala ed attese. Noi, tutti e tre, allora, vi ci rassettammo; la frusta die’ il primo chiocco, i cavalli il primo scappuccio.