Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/99

Da Wikisource.
68 l’altrieri


tòdico per potèrvisi, riuscendo, abituare. Com’egli passava vicino a noi — noi traevamo a salutarlo — di colpo chinossi verso chi gli stava più presso io stampando un caldissimo bacio.

— Per tutti — singhiozzò egli, e....

E, quella sera medèsima, Daniele Izar si ebbe la sua buona merenda.... Pesche duràcine se l’ebbe.



La Principessa di Pimpirimpara.

Ah! bene. L’uscio non avèa cricchialo. Io lo aprii soavemente e, sulla punta de’ piedi entrài nella càmera rattenendo il respiro e facendo, colla mano, intoppo tra il lume e il viso del mio fratellinuccio, di quel caro bottone di rosa che, tranquillo, là, nel suo lettino càndido, dormiva semi-aperte le labbra. Come i mièi stivaletti sbrisciàvano sul lùcido pavimento della sala, il pèndolo avèa scattato e, dopo un breve e sordo ràntolo, con voce argentina sonava. Le tre! Quale straora per uno sbarbatello! Ve rassicuro, in vita mia non m’era peranco occorso vedere che faccia mai mostrasse il mondo in sìmile freddo punto, in cui, nelle lunghe silenziose vie, le làmpade s’illùminano solo reciprocamente — tant’è vero che, nel rasentare l’ampio specchio della sala, gricciolài scontrandovi una figura e con inquietudine, guardài se, proprio io, dovèa èssere quel giovinetto pàllido che con un candeliere veniva verso di mè.... in grigio sopràbito.... calzoni neri.... guantato e cravattato di bianco, il cilindro su’ n occhio. Il cilindro! In quella stessa giornata me l’avèvano imposto: fu una delle prime càuse della sua memorabilità.