Pagina:Opere (Dossi) II.djvu/17

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xii interludio

serio, vide — easo non frequente — buono nella vicenda morale sin dal primo fiorire di quella giovinezza che lascia invece di solito alla longanime maturità di giudicare con benevolenza i fatti e gli uomini, pronta qual’è ad inalberarsi dinanzi ad ogni ostacolo, a declamare contro ogni ingiustizia, a vedere quindi e a dipingere in nero la vita.

Il Dossi era sin da fanciullo troppo pronto ed acuto per illudersi che invece la vita fosse per sua natura color di rosa: sin da quei Racconti infantili ch’ei non volle, a torto, compresi in questa edizioneprincipe, è facile scorgerlo. Bensì, in quell’età in cui gli altri si affannano a maledire, egli si dedicava a benedire, e mirava a suadere gli altri ad imitarlo, portando in terra con questo suo quinto Vangelo quel Regno dei Cieli a cui quasi nessuno più crede, e che, anche credendo, sì pochi si adoperano a meritare. Se la predica non fosse universalmente intesa come parola noiosa a pronunciare e a udire, si dovrebbe dire che egli predicava in quelle poche pagine il piacere del bene, con quella istessa convinta naturalezza per cui altri si distingue nel distillare ed instillare il piacere del male. Dimostrazione filosoficamente matematica di un vero che negli individui è ancor lungi dall’essere espresso di frequente, ma che socialmente — mi guarderò dal dire socialisticamente per non essere frainteso — incomincia a venire applicato. E, come il piacere del bene, egli v’insinuava la finezza del bene, ritornando così alla sua originaria, complessa, elevata, spirituale significazione quella parola carità, che da secoli era divenuta all’atto pratico sinonimo di ogni più volgare forma di beneficenza intenzionalmente usuraia.

Ma, se i quattro Evangeli cristiani vanno indarno passeggiando il mondo da quasi due mila anni, pure