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234 fricassea critica

ti accorgi di camminare in un magazzino di rigattiere-antiquario. In ogni dove puoi diteggiarti sulla polvere il nome. Vedi roba ammucchiata rinfusamente. Roba di tutti i tempi e le foggie, dalla più goffa alla più di buon gusto. Correggesche pitture nel buio; sgorbi alla Bertini in pien lume: litografie Gonin con cornice dorata, acquaforti di Rembrandt incollate su parafochi. E qui incontri, ad esempio, un tripode pompejano dal severo profilo con su un vaso chinese (una pazzia di porcellana) e dentro il vaso, fiori di serra stradoppi, leandri che pajono rose, rose imitanti le dalie, dalie che si direbber camelie, — freschissimi per la metà, ma per l’altra metà marci; là un poltronone barocco, che sarebbe il trionfo della comodità se non gli mancasse una gamba, sovra il quale riposa un elmetto dell’omerica Grecia, oltraggiato da una visiera medioevale in cartone e da un pennacchio da carabiniere. Così, ci sono forzieri, irti di chiodi e sprangati di catenacci che rinchiudono.... nulla, mentre un vezzo di diamanti, degno di una regina pende da una aperta finestra; così, c’è una pattumiera cui sono scoviglia, carni di fagiani di Stiria, tuorli di melarancio e di uova, mentre i gusci e le scorze empiono un piatto di Sèvres e gli ossi una coppa d’argenteo Cellini; c’è sovratutto, uno stipo, prezioso d’ebano e avorio, di lapislazzoli e malachiti che è un miracolo d’arte e d’industria — un vero lavoro di api pei mille cassetti e cassettucci e cassettuccini, — aprendo i quali, eccoti un biribara di cose le più disparate.... spilloni d’oro e chiodi torti di botti, paglie di sigaro e perle ancora in conchiglia, orecchini a cammeo che fanno riscontro con pezzetti di selce, zecchini della Serenissima alternati con mute dell’antico Piemonte, spagnolesche gorgiere metà pizzo e metà ragnateli, il genio di un Giuseppe Grandi