Pagina:Opere (Rapisardi) IV.djvu/54

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50 Il Giobbe

     990L’ombre gittava, onde intristía la vita.
     Dio la vide e la svelse. Al cielo or tende
     Le travolte radici, e chiede invano
     La pietà del mattin: tra le sue frondi
     Striscia il verde ramarro; il velenoso
     995Frutto della menzogna al Sol marcisce.
Poi che tacquero i vegli, e da ciascuno
     Ebbe il senno di Dio lodi e preghiere,
     Sciolse Chèdar la voce, e un suo consiglio
     Dissigillo: Da poco tempo io cibo
     1000L’almo frutto del suol, da poco attingo
     Al fonte della vita, ultimi dunque
     Suonar sul labbro mio devon gli accenti.
     Nel campo della morte abbandonati
     Lasceremo gli estinti? Il valoroso
     1005Petto del prode pasceran le belve?
     Gli occhi che sfolgorâr l’empio saranno
     D’oscene strigi e d’avoltoj becchime?
     Nessun, credo, il vorrà. Tolgansi i corpi
     Allo strazio nefando, e nell’eterna
     1010Casa di chi non vive abbian ricetto.
     Giusto, o figlio, ragioni, a lui rispose
     L’inclito genitore, e qual s’addice
     A cui nacque da me, che mai dal dritto
     Sentier della pietà l’orme non torsi,
     1015E al prudente consiglio e al cor sereno