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404 testi

     Ma fra l’usale note
     Qui resto a sospirar lungo il Panaro;
     Pur il destino avaro
     20Far non potrà, che su ’l deserto lido
     Del comun gaudio io non applaudì al grido.
Già non presumo impoverir di piante
     L’alto Appennino, e fra noti unii giuochi
     D’ambiziosi fuochi
     25Erger vicin al ciel mole fumante;
     O con bronzo tonante
     L’aria fendendo a’ più rimoti regni,
     Dar del giubilo mio fervidi segni.
Muse, s’egli è pur ver, ch’una di voi
     30Madre sia d’Imeneo, quella a me scenda,
     E meco a cantar prenda,
     Che del figlio i trofei son vanti suoi.
     Dunque a gli sposi eroi
     Tessiam d’eterni fior bella ghirlanda,
     35E di nettare Argivo offriam bevanda.
Allor con larga mano aurea fortuna
     Offerse regni, e dispensò tesori;
     Gemme, porpore ed ori
     Negli alberghi real la coppia aduna;
     40E bellezza opportuna,
     Ove trionfa amor, ne’ lor sembianti
     Apre d’ostro natio rose stellanti.
Ma, sallo il Ciel, non è già questo il segno,
     A cui gli strali suoi drizza il mio plettro,
     45Dove virtù te ha scettro,
     Là volge i carmi il mio divoto ingegno;
     Ch’ogni tesoro è indegno,
     Abietta ogni beltà, cui non dà fregio
     Con sua luce immortai valore egregio.
50Non ebbe il Frigio re sorte beata;
     Benchè gli ornasse allo diadema il crine;
     Che l’orecchie ferine
     Spuntar più su de la corona aurata.
     Benchè da Giove amata,
     55Vestì Calisto al fin ispida pelle,
     E Grecia invan la circondò di stelle.
Oh bei lumi d’Esperia, io già non sprezzo
     Tra i vostri onor grazie del ciel sì rare;
     Ma di virtù più chiare
     60In voi la luce io maggiormente apprezzo:
     Che ben’è a l’ombre avvezzo
     Chi fra i raggi onde il ciel risplender suole
     Loda le stelle, e non pon mente al sole.
Fra quegli ampi tesori, onde fecondo
     65E ’l ricco sen de l’indica Anfitrite,
     Fa de le margherite
     Stima più grande a gran ragione il mondo;
     Ed io più d’un crin biondo,
     Più d’un ner occhio, ed un bel sen di latte
     70Stimo d’un casto cor le voglie intatte.
Sparse di polve ebbe già Sparta in uso
     D’armar sue donne in marzial palestra;
     Ma di virginea destra
     Studio più degno è trattar l’ago, e ’l fuso;
     75E fin, ch’errò deluso
     Da contrario destino il saggio Ulisse,
     Casta così Penelope si visse.
Tali, o sposa real, fur l’arti prime
     Del tuo pudico ingegno: io già non penso
     80Offuscar con vil senso
     Chiaro splendor di nobiltà sublime,
     Mentre quaggiù si stime,
     Che sol per così degne, e illustri prove
     Diva fosse Minerva, e figlia a Giove.
85E quella man, che con filali argenti
     Seriche spoglie di fregiar si gode
     Sa ben con egual lode
     Trar da cetre canore almi concenti;
     Ferma a soavi accenti
     90L’Anfido il piede, ed a le dolci rote
     Nel Venosino ciel stan l’aure immote.
Suda intanto il tuo amante; al salto, al corso
     Ne la più verde età le membra indura;
     Ed è sua nobil cura
     95A indomito corsier premer il dorso:
     Frena con aureo morso
     L’ire rubelli; e tale a gl’atti, al volto
     Fu l’Amicleo garzone in cielo accolto.
Ma scaturir non può torbido fiume
     100Da fonte cristalin. D’aquila è figlio
     Augel, che ’l nobil ciglio
     Fissa nel sole, e non s’abbaglia al lume.
     Spiegaro inclite piume
     Per lo ciel di virtù vostr’avi alteri,
     105E ne son le vostr’opre indizj veri.
Certo il Sebeto, e ’l Reno, e più di loro
     Oggi il Tebro festante alte memorie
     Serban de le lor glorie,
     E ne portan sul crin più d’un alloro:
     110Divoto io ben gli adoro;
     Ma per solcar tant’acqua i’ non ho vela,
     E troppo lungo il lito a me si celi.
Tu grande onor di Flora a la cui mano
     Ha d’Elicona il biondo re concesso
     115Trattar quel plettro istesso,
     Onde sì chiaro è ’l gran cantor Tebano;
     Tu, che da mar lontano,
     Di cui radendo i’ vo’ le rive indarno,
     Porti greche ricchezze al tuo bell’Arno.
120Ciampoli, or tu per Oceàn sì largo
     Drizza, che puoi, le fortunate antenne,
     Che di Colco non venne
     Carco di più bel peso il legno d’Argo.
     Io tant’oltre non spargo
     125I lini miei; ma con pensier più saggi
     Qui di lontano adoro i tuoi viaggi.

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Sferza i destrieri, e per lo ciel stellato
     Affretta il corso o desiata notte:
     Da le cimmerie grotte
     Teco de’sogni esca lo stuolo alalo;
     5Ma il talamo beato
     Sia però chiuso a questi. Amor non vuole
     Dormiglioso guerrier ne le sue scuole.
Tardi di grembo al mar l’alba novella
     Desti a i lucidi offici il Dio di Delo,
     10Ed a fuggir dal cielo
     Più de l’usato sia pigra ogni stella;
     Che per cagion men bella
     Stagion più lunga in altra età si giacque,
     Fatto d’amor ministro, il sol ne l’acque.
15Splendan del ciel ne la più eccelsa parte
     Di Ciprigna, e di Giove i raggi amici:
     O qual di più felici
     Influenze quaggiù lumi comparte!
     Ma del sanguigno Marte,