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i suoi studii in Pisa, poteva applicarvisi a suo talento. Non per ciò si quietava il Galileo; ma vivendo allora un tal Mess. Ostilio Ricci di Fermo, matematico de' SS. paggi di quell'Altezza di Toscana e dipoi lettore delle matematiche nello Studio di Firenze, il quale, come familiarissimo di suo padre, giornalmente frequentava la sua casa, a questo s'accostò, pregandolo instantemente a dichiarargli qualche proposizione d'Euclide, ma però senza saputa del padre. Parve al Ricci di dover saziar così virtuosa brama del giovane, ma volle ben conferirla al Sig.r Vincenzio suo padre, esortandolo a permetter che il Galileo ricevesse questa satisfazione. Cedé il padre all'instanze dell'amico, ma ben gli proibì il palesar questo suo assenso al figliuolo, acciò con più timore continuasse lo studio di medicina. Cominciò dunque il Ricci ad introdurre il Galileo (che già aveva compliti diciannove anni) nelle solite esplicazioni delle definizioni, assiomi e postulati del primo libro delli Elementi; ma questi sentendo preporsi principii tanto chiari et indubitati, e considerando le domande d'Euclide così oneste e concedibili, fece immediatamente concetto che se la fabbrica della geometria veniva alzata sopra tali fondamenti, non poteva esser che fortissima e stabilissima. Ma non sì tosto gustò la maniera del dimostrare, e vedde aperta l'unica strada di pervenire alla cognizione del vero, che si pentì di non essersi molto prima incamminato per quella. Proseguendo 'l Ricci le sue lezzioni, s'accorse il padre che Galileo trascurava la medicina e che più si affezionava alla geometria; e temendo che egli col tempo non abbandonasse quella, che gli poteva arrecar maggior utile e comodità nell'angustie della sua fortuna, lo riprese più volte (fingendo non saperne la cagione), ma sempre in vano, poiché tanto più quegli s'invaghiva della