Pagina:Opere di Giovan-Batista Gelli.djvu/63

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gionevole, di essere reputato stolto. Ma qui non è però chi possa biasimarmene, se non ella; ed ella non può ragionevolmente farlo, avendomene consigliato. Adunque io non voglio mancare di provare. Ma come ho io a chiamargli? Io per me non saprei come, se non per il nome che eglino hanno, così animali. Facciamo adunque così. Ostrica, o Ostrica.
Ostrica.
Che vuoi tu da me, Ulisse?
Ulisse.
Ancora io ti chiamerei per il tuo nome, se io lo sapessi; ma se tu sei Greco, come m’ha detto Circe, piacciati dirmelo.
Ostrica.
Greco fui io innanzi ch’io fussi trasmutato da lei in Ostrica, e fui d'un luogo presso ad Atene, e il nome mio fu Ittaco, e perchè io era poveretto fui pescatore.
Ulisse.
Rallégrati adunque, chè la compassione che io ho di te, sapendo che tu nascesti uomo, e l'amore che io ti porto per esser de la mia patria, mi ha fatto supplicare a Circe di restituirti ne la tua prima forma, e di poi rimenarti meco in Grecia.
Ostrica.
Non seguir più là, Ulisse, chè questa tua prudenza e questa tua eloquenza, per le quali tu sei tanto lodato in fra i Greci, non arebbono forza alcuna presso di me: si che, non tentare di consigliarmi con l'una, che io lasci tanti beni che io mi godo così felicemente in questo stato senza pensiero alcuno; nè di persuadermi con l'altra, che io ritorni uomo, conciossiacosachè egli sia il più infelice animale che si ritruovi ne l'universo.
Ulisse.
Eh, Ittaco mio, quando tu perdesti la forma d’uomo, tu dovesti perdere ancor la ragione, a dir così.
Ostrica.
Tu non la puoi già perder tu, Ulisse, perchè tu non l'hai, a credere quel che tu di'. Ma lasciamo star da parte le ingiurie, e ragioniamo alquanto insieme amichevolmente; e vedrai se io, che ho provata l'una e l'altra vita, ti mostrerò che quel che io dico è vero.
Ulisse.
Oh questo vorrei io ben vedere.
Ostrica.
Stammi adunque e udire. Ma vedi, io vo' che tu mi prometta, che mentre ch'io m'apro come tu vedi per favellare teco, di stare avvertito che non venisse alcuno di