Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/155

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intorno la vita e le opere di luciano. 147

guardi per nessuno. Questo Momo è il senno volgare, il quale considera le credenze di tutti i popoli ormai mescolati e confusi; e ride di tutto il politeismo, come di una varia, diversa ed immensa mole di vuote fantasie che tra poco dovevano cadere.

LXXXIII. Il titolo del Filopseude è la prima piacevolezza di questo dialogo piacevolissimo, nel quale Luciano deride coloro che facendo professione di sapienti, non erano vaghi della sapienza, ma della bugia, non filo-sofi, ma filo-pseudi; e andavano perduti dietro la medicina empirica, gl’incantesimi, la ciarlataneria, ed ogni specie di superstizioni religiose. Essendo venuta meno quella forza d’intelletto che cercò la verità nel mondo della ragione e vi fece sì grandi conquiste, si cercava la verità nel mondo della natura e nel mondo dell’immaginazione. Onde questo dialogo, quantunque sia una satira dei filosofi del tempo, pure tratta di argomento religioso, e per dire più corretto, della superstizione religiosa. La quale non è dipinta in persone del volgo, ma in uomini di una certa intelligenza e conoscenza, cosicchè più spiccato è il contrasto che produce il ridicolo. Ecco adunque in casa di un filosofo, uomo assai riputato e dabbene, che giace in letto ammalato, una conversazione di filosofi di varie sètte, i quali ragionano di malattie risanate con rimedi strani o ridicoli, con parole ed incantesimi. In mezzo a questo mazzo di sapienti capita un uomo di buon senso che ride di tali sciocchezze, e quelli, come suole questa gente, dicono che egli non crede negli Dei. Or uno, or un altro raccontano di maghi ed incantatori che camminavano per l’aria e sull’acqua e sul fuoco, e risuscitavano morti, e facevano uscir dell’inferno le ombre, e scendere la luna dal cielo, e liberavano indemoniati: poi della virtù d’un anello; e dei prodigi che fa una