Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/215

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timone. 207

Mercurio. Non dici il vero. Io ti potrei nominare tanti che ieri non avevano un obolo da comprarsi un laccio, ed oggi a un tratto ricchi, sfarzosi; in cocchio tirato da una muta di cavalli bianchi, quando prima non possedevano neppure un asino, vanno vestiti di porpora, le mani tutte anella d’oro, essi stessi quasi credono di sognare.

Pluto. Questo è altro, o Mercurio: nè ci vo coi piedi miei allora, nè mi manda Giove da quelli, ma Plutone, datore di ricchezze anch’egli, e gran donatore, come suona il suo nome. Quando adunque i’ debbo mutar casa e signore, mi ravvolgono nelle carte di un testamento, mi vi suggellano accuratamente, e mi trasportano come un fardello. Intanto il morto giace disteso in un cantuccio scuro della casa, coperto sino alle ginocchia da un cencio, mentre intorno gli saltano i gatti: e quelli che sperano di avermi, vanno in piazza ad aspettare il testamento a bocca aperta, come i rondinini pigolando cercano l’imbeccata alla madre che va intorno svolazzando. Poichè rompesi il suggello, tagliasi la tela, ed apresi il testamento, vien gridato il mio novello padrone, che è un parente lontano, o un adulatore, o un servo bagascione, prediletto bardassa che porta ancora le gote rase, il quale dei tanti e si diversi piaceri di cui ha saziato il suo signore, quantunque non sia più garzone, riceve ora questo gran premio. Quel furfante, chiunque egli sia, abbrancatomi nel testamento, me ne porta via, e non è più Pirria, o Dromone, o Tibie, ma chiamasi Megacle, o Megabise, o Protarco. Gli altri rimangono trasecolati a guatarsi, stanno in un lutto vero, ripensando come un sì gran tonno è sfuggito dal mezzo della rete, dopo di avere inghiottita più di un’esca. Come mi afferra quello stupido bestione, che al vedere i ceppi ancor guizza di paura, che se ode scoppiettare una frusta drizza gli orecchi, e che adora un mulino come un tempio, prende i più fecciosi modi con tutti, insulta gli uomini liberi, e fa frustare i suoi antichi conservi per provare se egli è veramente divenuto padrone; finchè capitato fra l’unghie d’una sgualdrinella, o spendendo in cavalli, aggirato da adulatori che gli fan credere d’essere più bel di Nireo, più nobile di Gecrope, e più ricco di quindici Cresi insieme, lo sciagurato disperde in un momento quella ric-