Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/246

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238 dialoghi degli dei.


Giunone. Che, o Giove? Vuoi insultarmi anche tu?

Giove. Niente affatto: ma faremo di una nube un’immagine simile a te, e poichè sarà finita la cena, ed egli come innamorato non potrà dormire, noi gliela porteremo a letto: e così gli cesserà la smania, credendo soddisfatto il suo desiderio.

Giunone. Ah no: che muoia il temerario.

Giove. Permettilo, o Giunone. Che male puoi aver tu da una finzione, se Issione starà con una nube?

Giunone. Ma la nube parrà che sono io, e la vergogna verrà su di me per la somiglianza.

Giove. Non dir questo: chè la nube non sarà mai Giunone, nè tu la nube; solo Issione sarà ingannato.

Giunone. Ma poi, come soglion fare tutti gli sciocchi, ei forse se ne vanterà, lo conterà a tutti, dirà che si è giaciuto con Giunone, e divide il letto con Giove. Forse dirà ancora che io sono spasimata di lui, e la gente lo crederà, non sapendo che egli ha abbracciata una nube.

Giove. Dunque se ei ne dirà parola, io lo sprofonderò nell’inferno, dove legato ad una ruota, girerà con essa sempre, ed avrà pena senza posa; così pagherà il fio non dell’amore, che non è male, ma della sua iattanza.


7.

Apollo e Vulcano.


Vulcano. Hai veduto, o Apollo, il figliuolino di Maia, testè nato, come è bello, e sorride a tutti, e già mostra voler divenire un gran pezzo di bontà?

Apollo. Quel fanciullino, o Vulcano? Quel tuo gran pezzo di bontà è più vecchio di malizia, che non d’anni Giapeto.

Vulcano. Ed a chi ha potuto far male, se è nato ieri?

Apollo. Dimandane Nettuno, al quale rubò il tridente; o Marte, a cui sottrasse la spada cavandogliela dal fodero; non ti parlo di me, che mi disarmò dell’arco e delle frecce.