Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/249

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dialoghi degli dei. 241

9.

Nettuno e Mercurio.


Nettuno. Si può parlar con Giove, o Mercurio?

Mercurio. No, o Nettuno.

Nettuno. Ma portagli l’ambasciata.

Mercurio. Non essere importuno, ti dico: non è tempo, ora non potresti vederlo.

Nettuno. Forse è con Giunone?

Mercurio. No: tutt’altro.

Nettuno. Capisco: Ganimede è dentro.

Mercurio. Neppure: sta indisposto un po’.

Nettuno. E come, o Mercurio? Oh, questo mi dispiace!

Mercurio. Mi vergogno a dirlo: ecco.

Nettuno. Ma non devi vergognarti con me, che ti son zio.

Mercurio. Vuoi saperlo? Ora ha partorito.

Nettuno. Partorito egli? e chi l’ha ingravidato? Dunque era maschio-femmina, e noi nol sapevamo? Ma il ventre non gli pareva cresciuto affatto.

Mercurio. Ben dici; chè ei non aveva nel ventre il feto.

Nettuno. Intendo: ha partorito dalla testa un’altra volta, come partorì Pallade: egli ha la testa che partorisce.

Mercurio. No, in una coscia ei fu gravido d’un fanciullo avuto da Semele.

Nettuno. Benissimo: costui ingravida tutto, in tutte le parti del corpo. Ma chi è Semele?

Mercurio. Una Tebana, una delle figliuole di Cadmo: ei v’ebbe che fare, e la ingravidò.

Nettuno. E poi ha partorito egli, invece di lei?

Mercurio. Appunto: e so che ti parrà nuova. Giunone (sai quanto è gelosa) andò da Semele, e con suoi inganni la persuase a chieder da Giove che l’andasse a trovare coi tuoni e coi lampi. La semplice così fece, Giove v’andò anche col fulmine, il quale bruciò la soffitta della casa, e Semele perì nel fuoco. Egli mi comandò di sparare il ventre della donna, e di portargli il feto ancora imperfetto di sette mesi; e poi ch’io