Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/305

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dialoghi dei morti. 297


Retore. Ecco, le lascio.

Mercurio. Ora va bene. Sciogli la gomena, tiriam su la scala, leviamo l’áncora, apri la vela, dirizza il timone, o nocchiero, e andiamo. Perchè piangete, o sciocchi? massime tu, o filosofo, testè sbarbazzato?

Filosofo. Perchè credevo, o Mercurio, l’anima essere immortale.

Menippo. Ei mente per la gola: ben altro lo accora.

Mercurio. E che cosa?

Menippo. Che non isguazzerà più ne’ sontuosi banchetti, non più uscirà di notte tutto incappucciato per non farsi conoscere, a girar pe’ bordelli; nè più la mattina ingannerà i giovani vendendo la sapienza a danari. Questo lo accora.

Filosofo. E a te, o Menippo, non dispiace che sei morto?

Menippo. Che dispiacere? io andai incontro alla morte che non mi chiamava. Ma mentre parliamo non udite voi un rumore come di gente che grida su la terra?

Mercurio. Sì, o Menippo, e non viene da un luogo solo. Alcuni convengono in parlamento e si rallegrano della morte di Lampico, mentre la moglie è afferrata dalle donne ed i figlioletti sono accoppati co’ sassi dai fanciulli. Altri in Sicione lodano il retore Diofante che bela il panegirico di questo Cratone. E la madre di Damasia dolorosa comincia con le donne il piagnisteo sopra il figliuolo. Tu non se’ pianto da nessuno, o Menippo: ma te ne stai zitto e solo.

Menippo. Altro! or ora udirai che latrar di cani sovra di me, e che svolazzar di corvi, che verranno a seppellirmi.

Mercurio. Sei generoso, o Menippo. Ma già siamo arrivati: voi andatevene al tribunale, camminate diritti per questa via. Io e il nocchiero tragitteremo altri.

Menippo. Buon viaggio, o Mercurio. Avviamoci noi. A che restate? Volere o non volere, si dev’esser giudicati: e dicono che le pene sono gravi assai, ruote, avoltoi, pietre. A ciascuno sarà fatto strettissimo il conto della vita.