Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/125

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di una storia vera. 117

giamo; sicchè avuti parecchi feriti, fuggirono a rimbucarsi nell’isola.

Verso la mezzanotte, essendo bonaccia, urtammo senza addarcene in un grandissimo nido d’alcione, che aveva un sessanta stadii di circuito: sovr’esso stava l’alcione che covava le uova, e non era minore del suo nido, per modo che quando si levò per poco non fece affondare la nave col vento delle ali. Se ne fuggì mandando un lugubre lamento. Discesivi sul fare del giorno, vediamo il nido simile ad una grande zattera fatta di grossi alberi; sopra vi stavano cinquecento uova, ogni uovo più capace d’una botte di Chio: dentro ai quali si vedevano i pulcini che pigolavano: con la scure aprimmo un uovo, e ne cavammo un pulcino implume, più grosso di dodici avoltoi.

Passati un dugento stadii oltre il nido, ci avvennero grandi e mirabili prodigi: il paperin di prora a un tratto starnazzò l’ali e strillò; il pilota Scintaro, che era calvo, rimbiondì; e la più nuova fu che l’albero della nave germogliò, mise i rami, ed in punta portò frutti, fichi ed uve grandi, non ancora mature. A questa vista noi naturalmente sbigottiti pregammo gl’Iddii di allontanar da noi la maluria. Non eravamo andati oltre un cinquanta stadii e vediamo una selva grandissima e folta di abeti e di cipressi. Credemmo fosse il continente, ma era il mare senza fondo che aveva germinati alberi senza radici; gli alberi stavano saldi, ritti, e piantati su l’acqua. Fattici più da presso, guarda e riguarda, non sapevam che fare: navigare per mezzo agli alberi folti e continui non era possibile, tornare indietro non era facile. Io m’arrampicai sovra l’albero più alto per iscoprire qualcosa al di là, e vidi che la selva continuava così cinquanta stadii o poco più, e dipoi v’era altro mare. Pensammo adunque di porre la nave sovra gli alberi che eran foltissimi, e tragittarla, se era possibile, nell’altro mare: e così facemmo. La legammo con un gran canapo, e montati su gli alberi, a gran fatica la tirammo su: e adagiatala sovra i rami, spiegata la vela, andavam come sul mare, pinti dal vento. Allora mi ricordai del poeta Antimaco, che in una parte dice:

Venian per mar selvoso navigando.