Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/395

Da Wikisource.

icaromenippo. 387

devo qualche ricco tutto gonfio e pettoruto per avere otto anelli e quattro coppe d’oro, quanto me ne ridevo; perchè il Pargeo con tutte le mine, non era più d’un granello di miglio!

Amico. O fortunato Menippo, che vedesti sì maraviglioso spettacolo. Ma e le città e gli uomini quanto ti parevano di lassù?

Menippo. Certo hai veduto talvolta un mucchio di formiche; quali entrano, quali escono, quali vanno attorno il formicaio; una caccia fuori le lordure, un’altra, afferrato un guscio di fava o un mezzo granello, corre portandolo in bocca: e pare che anche tra esse ci sieno ed architetti, e capipopoli, e magistrati, e musici, e filosofi. Le città adunque con gli uomini mi parevano formicai. E se il paragone tra gli uomini e le formiche ti par troppo piccolo, cerca le antiche favole de’ Tessali, e troverai che i Mirmidoni, gente bellicosissima, di formiche diventarono uomini. Ma poichè fui sazio di vedere e di ridere, scossi l’ale, e dirizzai il volo

               A la magione dell’Egioco Giove
               E degli altri immortali.

Non m’era levato uno stadio, e la Luna, con una vocina di donna: O Menippo, disse, fa’ buon viaggio, e portami un’ambasciata a Giove. Di’ pure, risposi, un’ambasciata non pesa a portarla. L’ambasciata è facile, disse, è una preghiera che da parte mia presenterai a Giove. Io sono stucca, o Menippo, di udire i filosofi che ne dicon tante e poi tante di me, e non hanno altro pensiero che d’impacciarsi de’ fatti miei, chi son io, e quanto son grande, e perchè ora sono scema ed ora son piena: chi dice che sono abitata, e chi che son come uno specchio pendente sul mare, ed ogni sciocchezza che pensano l’appiccano a me. Han detto finanche che questa luce non è mia, ma è roba rubata, e me l’ho presa dal Sole; e non la finiscono, e per questo mi faran bisticciare e venire alle brutte con mio fratello; non essendo contenti di sparlare del Sole, che è una pietra, e una palla di ferro rovente. Eppure io so molti dei fatti loro, e quante vergogne e sporcizie fanno la notte questi che il giorno paion santoni all’aspetto ed alle vesti, e gittano la polvere agli occhi degl’ignoranti. Io vedo tutto, e taccio, per-