Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/98

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90 di una storia vera.

tramutati per incantesimi, e di tante altre bugie, che ei sciorinò innanzi a quei poveri sciocchi dei Feaci. Abbattendomi in tutti costoro io non li biasimavo troppo delle bugie che dicono, vedendo che già sogliono dirle anche i filosofi, ma facevo le meraviglie di loro che credono di darcele a bere come verità. Onde anche a me essendo venuto il prurito di lasciar qualche cosetta ai posteri, per non essere io solo privo della libertà di novellare; e giacchè non ho a contar niente di vero (perchè non m’è avvenuto niente che meriti di esser narrato), mi sono rivolto ad una bugia, che è molto più ragionevole delle altre chè almeno dirò questa sola verità, che io dirò la bugia. Così forse sfuggirò il biasimo che hanno gli altri, confessando io stesso che non dico affatto la verità. Scrivo adunque di cose che non ho vedute, nè ho sapute da altri, che non sono, e non potrebbero mai essere: e però i lettori non ne debbono credere niente.


Sciogliendo una volta dalle colonne d’Ercole, ed entrato nell’oceano occidentale facevo vela con buon vento. Mi messi a viaggiare per curiosità di mente, per desiderio di veder cose nuove, per voglia di conoscere il fine dell’oceano, e quali uomini abitano su quegli altri lidi. Per questo effetto avevo fatto grandi provvisioni di vettovaglie, e di bastante acqua; scelti cinquanta giovani della mia intenzione; m’ero provveduto d’una buona quantità di armi; avevo preso un pilota con buonissima paga, ed una nave (era una buona caravella) da poter durare a lunga e forte navigazione. Un giorno adunque ed una notte con vento favorevole navigando, vedevamo ancor la terra di lontano, e andavamo oltre senza troppa violenza: ma l’altro giorno col levare del sole il vento rinforzò, il mare gonfiossi, si scurò l’aria, e non fu possibile più di ammainare la vela. Messici alla balía del vento, fummo battuti da una tempesta per settantanove giorni: nell’ottantesimo comparso a un tratto il sole, vedemmo non lontano un’isola alta e selvosa, intorno alla quale non frangeva molto il mare, perchè il forte della tempesta era passato. Approdammo adunque, e sbarcati, ci gettammo a terra stanchi di sì lungo travaglio, e così stemmo lungo tempo. Poi surti in piè, scegliemmo trenta