Pagina:Opere di Niccolò Machiavelli II.djvu/200

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190 dell'arte della guerra


Fabrizio. Io sono contentissimo che voi, Cosimo, con questi altri giovani quì mi domandiate; perchè io credo che la gioventù vi faccia più amici delle cose militari, e più facili a credere quello che da me si dirà. Questi altri, per aver già il capo bianco e avere i sangui ghiacciati addosso, parte sogliono esser nemici della guerra, parte incorreggibili, come quegli che credono che i tempi e non i cattivi modi costringano gli uomini a vivere così. Sicchè domandatemi tutti voi sicuramente e senza rispetto; il che io desidero, sì perchè mi sia un poco di riposo, sì perchè io avrò piacere non lasciare nella mente vostra alcuna dubitazione. Io voglio cominciare dalle parole vostre, dove voi mi diceste che nella guerra, che è l’arte mia, io non aveva usato alcuno termine antico. Sopra a che dico come, essendo questa un arte mediante la quale gli uomini d’ogni tempo non possono vivere onestamente, non la può usare per arte se non una Repubblica o un Regno; e l’un e l’altro di questi, quando sia bene ordinato, mai non consentì ad alcuno suo cittadino o suddito usarla per arte; nè mai alcuno uomo buono l’esercitò per sua particolare arte. Perchè buono non sarà mai giudicato colui che faccia uno esercizio che, a volere d’ogni tempo trarne utilità, gli convenga essere rapace, fraudolento, violento, aver molte qualitadi, le quali di necessità lo facciano non buono; nè possono gli uomini che l’usano per arte, così i grandi come i minimi, esser fatti altrimenti, perchè questa arte non gli nutrisce nella pace. Donde che sono necessitati o pensare che non sia pace, o tanto prevalersi ne’ tempi della guerra, che possano nella pace nutrirsi. E qualunque s’è l’uno di questi due pensieri, non cape in uno uomo buono. Perchè dal volersi potere nutrire d’ogni tempo, nascono le rubberie, le violenze, gli assassinamenti, che tali soldati fanno, così agli amici come a’ nimici; e dal non volere la pace, nascono gli inganni che i Capitani