Pagina:Opere di Niccolò Machiavelli II.djvu/206

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re, se vogliono vivere sicuri, avere le loro fanterie composte di uomini che, quando egli è tempo di fare guerra, volentieri per suo amore vadano a quella, e, quando viene poi la pace, più volentieri se ne ritornino a casa. Il che sempre fia, quando egli scerrà uomini che sappiano vivere d’altra arte che di questa. E così debbe volere, venuta la pace, che i suoi principi tornino a governare i loro popoli, i gentili uomini al culto delle loro possessioni, e i fanti alla loro particolare arte: e ciascuno d’essi faccia volentieri la guerra per avere pace, e non cerchi turbare la pace per avere guerra.

Cosimo. Veramente questo vostro ragionamento mi pare bene considerato; nondimeno, sendo quasi che contrario a quello che io insino a ora ne ho pensato, non mi resta ancora l’animo purgato d’ogni dubbio; perchè io veggo assai signori e gentili uomini nutrirsi a tempo di pace mediante gli studii della guerra, come sono i pari vostri che hanno provvisioni dai principi e dalle comunità. Veggo ancora quasi tutti gli uomini d’arme rimanere con le provvisioni loro; veggo assai fanti restare nelle guardie delle città e delle fortezze, tale che mi pare che ci sia luogo, a tempo di pace, per ciascuno.

Fabrizio. Io non credo che voi crediate questo, che a tempo di pace ciascheduno abbia luogo; perchè, posto che non se ne potesse addurre altra ragione, il poco numero che fanno tutti coloro che rimangono ne’ luoghi allegati da voi, vi risponderebbe: che proporzione hanno le fanterie che bisognano nella guerra, con quelle che nella pace si adoperano? Perchè le fortezze e le città che si guardano a tempo di pace, nella guerra si guardano molto più; a che si aggiungono i soldati che si tengono in campagna, che sono un numero grande, i quali tutti nella pace si abbandonano. E circa le guardie degli stati, che sono uno piccolo numero, papa Iulio e voi avete mostro a ciascuno quanto sia da temere quegli che non vogliono sapere fare altra arte che la guerra; e gli avete per la insolenza