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DISCORSO OVVERO DIALOGO


In cui si esamina, se la lingua, in cui scrissero Dante, il Boccaccio,
e il Petrarca, si debba chiamare


ITALIANA, TOSCANA, O FIORENTINA


SEmprechè io ho potuto onorare la patria mia, eziandio con mio carico e pericolo, l’ho fatto volentieri, perchè l’uomo non ha maggiore obbligo nella vita sua, che con quella, dependendo prima da essa l’essere, e dipoi tutto quello che di buono la fortuna, e la natura ci hanno conceduto; e tanto viene a esser maggiore in coloro che hanno sortito patria più nobile. E veramente colui il quale con l’animo e con le opere si fa nimico della sua patria, meritamente si può chiamare parricida, ancora che da quella fosse suto offeso. Perchè, se battere il padre e la madre, per qualunque cagione, è cosa nefanda, di necessità ne seguita il lacerare la patria essere cosa nefandissima, perchè da lei mai si patisce alcuna persecuzione per la quale possa meritare di essere da te ingiuriata, avendo a riconoscere da quella ogni tuo bene; talchè, se ella si priva di parte de’ suoi cittadini, sei piuttosto obbligato ringraziarla di quelli che la si lascia, che infamarla di quelli che la si toglie. E quando questo sia vero che è verissimo, io non dubito mai di ingannarmi per difenderla, e venire contro a quelli che troppo presuntuosamente cercano di privarla dell’onor suo. La cagione per che io abbia mosso questo ragionamento, è la disputa, nata più volte ne’ passati giorni, se la lingua nella quale hanno scritto i nostri poeti e oratori Fiorentini, è Fiorentina, Toscana, o Italiana. Nel-