Pagina:Opere di Niccolò Machiavelli VI.djvu/462

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442 serenata

185E se il prego d’alcun mai vi fu grato,
     Se mai cedeste a nostre umane voglie,
     Fate, che lungo tempo ricordato
     Sia questo mio morir, queste mie doglie.
     E che mi sia per fama almanco dato
     190Quel che durezza, e crudeltà mi toglie.
     E così detto, tal furor lo vinse
     Ch’intorno al collo un capestro si cinse.
Poi pien di caldi, e lacrimosi umori,
     Alzò tutto affannato gli occhi suoi,
     195E disse: cruda, questi sono i fiori,
     Queste son le grillande, che tu vuoi.
     In fin per terminar tanti dolori
     Si lasciò ir tutto pendente poi;
     E nel cader parve la porta desse
     200Un suon, che del suo caso si dolesse.
Fu portato alla madre il corpo morto,
     La qual lo pianse miserabilmente
     Dolendosi del Ciel, che li fa torto,
     Vedendo morto il figliuol crudelmente;
     205E non voleva udir priego, e conforto,
     Tanto era del dolore impaziente
     Per la sua sorte cotanto inmatura!
     Pur s’ordinò di darli sepoltura.
Mentre che ’l corpo al sepolcro n’andava,
     210D’Anassarete alla casa pervenne,
     La qual sentendo che ’l corpo passava,
     Di farsi alle finestre non si tenne.
     E come il volto di colui mirava,
     Sùbito pietra la crudel divenne;
     215Per tutto il corpo suo con grande orrore
     Diventò il sasso, ch’ell’avea nel core.