Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/114

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tasse il grado: e se ne provvedevano a forza d’iniqui bottini. Le maniche de’ vestiti erano al pugno strettissime; poi crescevano alle spalle meravigliosamente larghe: così che quando nel teatro, e nel circo a mano protesa gridavano, o come succede, eccitavano gli altri, quella parte del vestito principalmente ampliavasi a modo da far credere d’avere sì grande e robusta la persona, che avessero appunto bisogno di un tale abito per coprirla: non accorgendosi, che con sì gonfia e vuota veste maggiormente rivelavano l’esilità del loro corpo. E gli umerali, e gli stivaletti, e la maggior parte della calzatura presero pure dagli Unni, e coi nomi usati dagli Unni queste cose individuavano. Per lo innanzi quasi tutti in tempo di notte ed apertamente andavano armati; e allora si misero a portare in pieno giorno sotto l’abito nascosti e fermi al fianco i pugnali. Quindi sull’imbrunir della sera raccolti in truppe, o nell’aperto foro, o sotto i portici, qualunque innocua persona incontrassero, la spogliavano de’ pallii, delle cinture, delle fibbie d’oro che avesse, e di quanto recasse seco: altri, dopo averli derubati, battevano ancora, onde non riferissero ciò che loro era succeduto.

È ben da credere, che tutta la gente di queste iniquità acerbamente qua e là si gravasse; e che tal’ora codesti assalitori non andassero senza mal incontro. Ma spezialmente accadde che la maggior parte delle persone incominciò ad usare fibbie e cinture di rame, ed abiti vili, non appropriati alla loro dignità, così facendo perchè gli ornamenti non fossero cagione, che alla vita di esse s’insidiasse; e restituivansi alle case loro