Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/124

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faceva fortuitamente, ma a scritture firmate, e a fede data con religiosissime parole sopra cose già convenute; e ciò anche co’ sudditi: dai patti, e dai giuramenti recedeva poi come i vilissimi schiavi, i quali almeno spergiurando riduconsi ad osservare i patti per lo spavento di un pronto supplizio. Fu incostante cogli amici, coi nemici inesorabile: sitibondo ardentissimamente d’oro e di sangue: tutto dato alle contese e alle cose nuove: facilissimo alle scelleraggini: incapace d’essere colla persuasione tratto alle cose ottime: acuto in ideare, e fiero in eseguire i delitti: e per fino il nome di cosa onesta era a lui fastidioso. Questi, e parecchi altri vizii ebb’egli oltre quanto comporti la perversità umana, della quale negli altri la natura mette i semi, e in lui parve averla versata tutta; poichè di giunta facilissimamente ascoltò le delazioni, e senza ritegno corse ai gastighi: mai non giudicò a causa conosciuta, ma udito il delatore immantinente proferì la sentenza; e senza pensar più in là scrivendo decretò demolizioni di luoghi, incendii di città, saccheggiamenti di popoli. Ond’è che se alcuno si ponesse a riandare tutti i singoli casi de’ Romani, e volesse confrontarli con quanto egli fece, io porto opinione che troverebbe assai più stragi fatte da Giustiniano, che le commesse da altri in tutto il passato tempo. Contro le mute sostanze dei privati procedeva con avidità precipitosa; nè si diede pensiero di coprire le rapine degli altrui beni con alcun pretesto di legale apparenza. Le quali rapine entrate poi nelle sue casse, non avea in conto veruno, ma con pazza munificenza, e senza titolo alcuno, le profondeva