Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/219

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che molta intrinsichezza avea con quel Patrizio, domandò all’Imperadore che fede prestasse a quanto intorno a quel Lassarione erasi divulgato. Egli immantinente negando il fatto, consegnò lettere a Pelagio, nelle quali si comandava a Liberio di tenersi fermo nel governo che avea, e non abbandonarlo in nissun modo: chè di levarlo di là per allora non avea mai avuta intenzione veruna. Avea intanto Giovanni uno zio in Costantinopoli, chiamato Eudemone, uomo consolare, opulento, e procuratore de’ beni dell’Imperatore, il quale, avendo udito quanto scritto avea ultimamente, domandò se il nipote suo fosse sicuro del magistrato a cui era stato promosso. E l’Imperadore dissimulando le lettere per mezzo di Pelagio scritte a Liberio, altre ne scrive a Giovanni, ordinandogli di starsi fermamente nel governo conferitogli, nulla avendo egli disposto in contrario. Fidatosi di tali lettere Giovanni intima a Liberio, come levato di magistrato, che debba sloggiare dal Pretorio. Liberio ricusa di sloggiare, e mette fuori anch’egli il diploma imperiale. Da ciò nasce che Giovanni va ad investirlo con armati satelliti; e con satelliti l’altro si difende; e si viene alle mani, e molti rimangono uccisi, e tra gli altri Giovanni. Su di che facendo Eudemone gran rumore, Liberio viene chiamato a Costantinopoli: il Senato fa processo, e finisce coll’assolverlo dalla querela di omicidio, riconoscendo di averlo contro sua voglia e per difesa propria commesso. Ma Giustiniano non si calmò prima di averlo occultamente condannato a pagare una somma. Così amava egli la verità, e così era amico!