Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/294

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perizia, in quante mise in note un inno sacro, che anche oggi i Greci cantano nella solenne celebrazione della messa; e nell’architettura, avendo molti disegni fatto egli medesimo per varie di quelle grandiose fabbriche, le quali fece costruire. Sebbene possiamo facilmente sospettare noi, che facendo dar forma ed esecuzione ad alcun suo pensiero, in lui siasi supposta la perizia, che in sostanza non era che di quelli, della cui opera si serviva. Ma, o di fatto, o di comunicato pensiero che vogliamo parlare, parecchie opere teologiche sfortunatamente si sono riconosciute per sue, e non servono oggi che ad aggravare i suoi torti: perciocchè ognuno comprende che altri avea la Chiesa, e più convenienti espositori de’ misterii, ove a questi ben corrispondessero le composizioni sue, le quali intanto gli levarono il tempo, che impiegar dovea agli officii del proprio stato; e che per quelle, che fece servire agli errori, la serie accrebbe de’ suoi misfatti. Per questa sua scienza in teologizzare venne in tanto orgoglio, che a papa Agapito, il quale sosteneva le due nature in Cristo contro l’errore dei Monofisiti da Giustiniano sostenuto, ardì dire: O convieni con noi, o ti farò deportare in esiglio. La stessa minaccia fece al patriarca Eutichio, e la eseguì, come risulta dal seguente passo di Eustazio, che dice: L’Imperadore mise fuori un editto da essolui composto, in cui contenevasi il dogma blasfematorio della incorruttibile umanità del Signore dopo l’unione; ed avendolo letto a tutti volle obbligare Eutichio ad approvarlo, e a convenire con lui in quella bestemmia. Avendo Eutichio ricusato, l’Imperadore ordinò che fosse deportato. Gli altri Vescovi, che nelle dispute riguardanti materie di fede non si accordarono con lui, o imprigionò, o tormentò, od uccise. Vedremo altrove altre atrocità. La smania di teologizzare crebbe in Giustiniano cogli anni.

4.° Finiremo le Note a questo capitolo accennando il giudizio di Evagrio sul favore dato da Giustiniano alla fazione de’ Veneti, la quale, oltre i disordini da essa commessi, deve tenersi colpevole anche di quelli, che per naturale reazione commettevano i Prasini. Evagrio non ha dubitato di chiamare questo favore