Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/360

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bene che a chi attentamente consideri il regno di Giustiniano, principe nostro, il quale io credo che a buon diritto debba dirsi re per natura, mentre, per usare le parole di Omero, egli si presta padre benignissimo, il regno di Ciro parrà cosa da giuoco. E di ciò farà fede l’imperio di tal modo esteso, che può dirsi, come testè io accennava, ai confini e alla potenza del primo essersene aggiunto un secondo, ed anche di più. Della sua clemenza poi somministreranno ampia prova coloro, i quali chiaramente convinti d’ avere tramate insidie contra la vita di lui, oggi pure non solo e della vita e de’ beni loro godono pacificamente, ma sono nelle più luminose cariche degli eserciti, ed iscritti tra i Consoli.

Ma egli è tempo di venire a parlare, siccome mi proposi, de’ suoi Edifizii, onde i posteri ove la mole ed il gran numero de’ medesimi veggano, non abbiano a dire non essere essi l’opera di un solo uomo, sapendosi che a molti fatti degli antichi, mancanti dell’autorità della Storia, la stessa eccellenza della virtù toglie fede. Intanto conviene, che il discorso faccia capo da quelli che veggonsi in Costantinopoli; giacchè, secondo l’antico detto, quelli che mettono mano ad alcuna opera, debbono principiare dal darle un illustre incominciamento.