Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/369

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gli spaziare pel cielo, pensando non esserne per certo lontano, e godersi di quella beata sede, a cui l’animo suo devoto aspira. Nè questa è la impressione, che sì magnifico spettacolo fa soltanto a chi lo contempla per la prima volta: ma si rinnova essa in ognuno quante volte vi ritorni, come se non lo avesse veduto mai. Perciò niuno mai ne fu sazio; e chi è nel tempio dilettasi di quella vista gratissima; e chi n’esce, non cessa di parlarne, sempre più meravigliato. Nè vale poi dire delle preziose suppellettili da Giustiniano Augusto donate a questa chiesa: chè l’oro, l’argento, le gemme annoverarne particolarmente sarebbe troppo lungo discorso. Da una cosa sola potranno i lettori congetturare del resto; ed è questo, che il Sacrario del tempio, ad ognuno fuorchè ai sacerdoti inaccessibile, detto l’Altare, ha quaranta mila pesi d’argento.

Per mettere fine alle cose leggermente tocche, e in brevi parole comprese, che le più degne sono di essere accennate, dirò, che Giustiniano Augusto edificò la chiesa Costantinopolitana, comunemente chiamata la grande, non solo spendendo quanto occorreva, ma impiegandovi in oltre l’ingegno suo, ed ogni studio della sua mente, siccome sono per esporre. Di quelle arcate, delle quali feci menzione, e che gli architetti dicono Lori, quella d’incontro al levar del sole, stavasi costruendo, e non istretta per anco nel mezzo aspettava l’ultima mano, quando i pilastri, su cui posava, cedendo al troppo peso della mole, improvvisamente additando una scompaginatura, annunciarono imminente rovina. Autemio ed Isidoro atterriti del ca-