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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo I.djvu/406

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mandò con qual mezzo in appresso potesse salvarsi la città da simile danno. L’uno e l’altro dissero quanto credettero a proposito; ma l’Imperadore per certa celeste ispirazione, non ricevuta ancora la lettera di Crise, da se stesso mirabilmente fece quanto mostrato avea in sogno a Crise l’immagine, che a questo era apparsa. Era ancora sospesa ogni deliberazione; nè ben sapeano ciò che bisognasse fare, quando il congresso si sciolse. Il terzo giorno dopo venne chi ricapitò all’Imperadore la lettera di Crise, e il disegno della macchina da questo veduta in sogno. Giustiniano adunque chiama a sè di nuovo i due architetti, e fa loro ripetere quanto pel lavoro occorrente aveano insieme concertato; e così fecero, ripigliando i dettati dell’arte loro; nè omisero di esporre ciò che per parte sua l’Imperadore avea proposto. E questi allora facendo uscire il messo di Crise, colla lettera e col disegno veduto in sogno dell’opera che occorreva, tal cosa mise que’ due in gran maraviglia, giudicando seco stessi che Dio soccorreva al nostro principe in ogni cosa riguardante il bene dell’impero. Laonde cedendo la perizia, e l’arte, prevalse il parere dell’Imperadore, ed essendo ritornato Crise a Dara, ebbe ordine di eseguire con tutto l’impegno, ed a seconda del sogno avuto, quanto avea scritto. Ed ecco come compì il comandamento.

Quaranta piedi in circa lungi dal muro esteriore della città, tra que’ due scogli, fra quali scorre il fiume, alzò un argine di giusta altezza e larghezza, le cui estremità, da ogni parte così ben legò a quegli scogli, che le acque del fiume, qualunque fosse l’impeto del loro