Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/315

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LIBRO PRIMO 291

dato il guasto alla città e morte a parecchi Romani partironsi col bottino1.

IV. Corre poi il grido che l’eunuco adetto alla cura degli imperiali volatili fosse il primo a risapere in Ravenna tale saccheggio e che presentatosi ad Onorio, esclamasse; guai a Roma! e questi traudendo colui annunziargli sciagure della sua prediletta gallina, nomata pur ella Roma, compassionandola rispondesse: e solo un momento ch’io davale beccare nella mano; l’altro però accortosi dell’equivoco soggiunse: non del pollo volea io dire, ma del saccheggio sofferto da Roma città, per opera d’Alarico; ed Onorio: temeva sciagura occorsa alla mia bestiuola; parlare da sciocco ed impertinente quale di fatto egli era.

V. V’ha non di meno chi riferisce in modo ben diverso l’entrata d’Alarico in Roma, accagionandone una delle più illustri matrone di nome Proba, la quale forte compassionando i suoi concittadini in causa della fame e d’ogni altro disagio inevitabile negli assedj2, e non vedendo mezzo di salvare la città, addivenuti i barbari già padroni del Tevere e del porto3, esortasse i familiari suoi ad aprire una delle porte urbane.

  1. Alarico presa e saccheggiata Roma, fece prigioni molti della casa d’Onorio, e tra gli altri Placidia sua sorella, dandola per moglie al figliuolo Ataulfo. Ciò avvenne nell’anno diciottesimo dell’imperio d'Onorio, e 412 dell’era volgare.
  2. «In questo assedio di Roma giunsero a tale estremità gli abitanti che l’un l’altro si divoravano» (Fozio, Estr. di Olimp.)
  3. Ostia, dalla città ora distante all’incirca quattordici miglia.