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Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/161

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LIBRO SECONDO 151

ascendesserne i morti negli ultimi combattimenti; quando in simili occasioni, anzi in altre di gran lunga peggiori, non aveanli mai veduti in preda a sì grave tristezza, ponendo ognora somma fiducia nella immensa lor copia. Odesi poi nel giorno appresso la riferta che i barbari lamentavano la trista sorte cui soggiacquero nelle trincee chiarissimi personaggi spenti da Buca nel primo battagliare. Qui non finirono le pugne, ma di altre minori parmi cosa superflua al tutto di tramandare ai posteri memoria. Basti il dire che in tale assedio si diede di piglio alle armi sessantasette volte non comprese le ultime due, serbandomi di parlarne a miglior tempo. Col verno alla perfine ebbe compimento il secondo anno di questa guerra scritta da Procopio.


CAPO III.

Roma in balia della peste e della fame. Il Gotto converte gli acquidotti in bastite. — I Romani aizzati dalla fame chiedono al condottiero d’investire il nemico, ma l’orazione loro è da lui confutata.

I. Entrava il solstizio estivo quando e fame e peste assalirono Roma. Il soldato, dal pane infuori, mancava di vittuaglia comunque, ed il popolo anche di quello andava senza, e per colmo di sciagura, più che dalla fame era travagliato orribilmente dalla moría. Il nemico fattone consapevole intralasciò di combatterlo, ponendo solo ogni diligenza nell’impedire che nessun fodero penetrasse là entro. Hannovi tra le vie Latina