Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/270

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260 GUERRE GOTTICHE

nulla. Da quest’epoca e Romani e Gotti spedironsi a vicenda frequenti ambascerie per istabilire la pace, Belisario continuando intanto a guardare strettamente che non pervenisse loro vittuaglia, ed ordinando a Vitalio di passare nella veneta regione per occuparvi molti di que’ luoghi. Egli poi fatto valicare il Po ad Ildigere munì dalle due ripe il fiume coll’intendimento che gli assediati avviliti dall’ognor più crescente mancanza d’annona piegassero alle condizioni da lui proposte. Avvertito inoltre che nei pubblici granai di Ravenna esisteva gran copia di frumento sedusse con danaro tale de’ cittadini a mandarli in fiamme, appiccatovi di ascoso fuoco, insiem con tutte le biade; e vuolsi che di tanto fosse complice la stessa moglie del re, Matasunta. Ma sebbene altri attribuiscano ad occulta frode quel subito incendio, havvi pur cui piace accagionarne la caduta d’un fulmine; il fatto si è che ambo i sospetti riducevano i Gotti e Vitige in angustie maggiori, più non potendo fidarsi in loro medesimi o, che è peggio ancora, credendo lo stesso Nume accorso a debellarli. Giusta il detto passarono quivi le cose.

IV. Nelle Alpi a confine tra’ Galli ed i Liguri, nomate Cozzie, hannovi presso dei Romani molte castella abitate dai Gotti, uomini forti e numerosi, colla prole e colle donne loro e munite di guernigioni. Belisario udendo ch’e’ pensavano arrendersi vi mandò uno de’ suoi, per nume Tommaso, con altri pochi all’uopo di riceverli a patti confermati da giuramento. Costoro pervenuti alle Alpi, Sisigi comandante i presidii a guardia di quel tratto di paese accolseli in uno de’ mentovati