Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/280

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270 GUERRE GOTTICHE

certissimi di comportarci da prodi.» Non altrimenti favellavano i Gotti, ed Uraia pigliò a dir loro: «Sono con voi che nella presente malaugurata condizion nostra preferir dobbiamo la sorte della guerra ad una ignominiosa servitù; non di meno questo mio innalzamento al trono lo giudico affatto contrario all’universale di noi. Conciossiachè avendo io sortito i natali da una sorella di Vitige, principe sì disgraziato nelle imprese, porterei meco il dispregio de’ nemici, essendo volgare opinione che la ria sorte passi dagli uni negli altri affini. Di più l’occupare il regno dell’avo mi tornerebbe forse a colpa, e quindi alienerebbemi a diritto gli animi di molti tra voi. Laonde è mio divisamento che in tale estremo Ildibado ascenda il soglio, personaggio di sommo valore e di squisito ingegno; egli giusta ogni apparenza trarrà seco in lega, mercè della parentela, Taudin, suo zio materno e re de’ Visigotti, ed in allora potremo con maggior fiducia portar le armi nostre contro de’ Romani.»

II. Tutti i Gotti convennero ad una che Uraia così favellando nelle attuali circostanze avesse dato ottimamente in brocco. Laonde mandarono di fretta a Verona chiamando Ildibado, ed al suo arrivo, vestitolo di porpora e salutatolo re, lo pregarono che provvedesse alle tante loro sciagure. Ildibado, ottenuto siffattamente il regno, convocò poco di poi i Gotti, ed aringolli di questo modo: «Non posso ignorare, miei commilitoni, che tutti voi qui raccolti siate appieno ammaestrati dal lungo esercizio della guerra. Il perchè non impugneremo le armi precipitosamente;