Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/295

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LIBRO TERZO 285

d’essi con piccol drappello, acciocchè all’aprirsi la porta dal custode e’ l’occupasse per quindi accogliere là entro senza tema d’insidie l’esercito. Ma nessuno volle sapere del pericolo, d’Artabaze in fuori di schiatta chiarissimo, e pronto ad ogni più ardita impresa. Era egli duce di que’ Persi che Belisario, conquistato il castello Sisauranese, avea mandato di fresco con Bliscane a Bizanzio. Costui scelti da tutte le truppe cento prodi a notte ferma incamminossi alle mura. Apertasi dal custode, giusta le convenzioni, la porta gli uni retrocedono a chiamare l’esercito, ed il resto asceso i merli assale ed uccide le incaute guardie ivi poste, nè più vollevi perchè tutti i Gotti, in mirando tanta sciagura, per altra parte abbandonassersi alla fuga. Sorge quivi presso un monte con elevatissima vetta da dove si può osservare quanto accade nella città, numerare coloro che vi sono entro, ed in ogni lato godere la prospettiva d’immensa campagna. I Gotti essendosi quivi dalla fuga riparati, rimasonvi tutta quella notte. Il romano esercito fe’ alto a quaranta stadj dalle mura in causa d’una lite surta tra duci sul come dividerne il bottino, ed intanto che si contende intorno alla preda apparisce l’aurora. Fattosi quindi giorno chiaro i Gotti dalla sommità del colle dove ripararono conosciuto pienamente il numero de’ nemici là entro, e considerata la distanza in cui erano le altre truppe, di corsa introduconsi nella città per la stessa porta donde prima eran usciti, non avendo potuto occuparla i pochi giuntivi nella notte. Gl’imperiali allora animati senza eccezione da un egual co-