Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/347

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LIBRO TERZO 337

sa? Nè tacerò apparire abbastanza di già quanto sii per mostrarti benigno a’ miei concittadini, rei d’averti portato le armi contro, quando professi odio implacabile ai Siciliani ognora ligj de’ tuoi divisamenti. Il perchè messo da parte ogni pensiero di farmi a te supplichevole rivolgerò la mia ambasceria al Nume, appo cui hannosi in isdegno gli orgogliosi dispregiatori dei supplicanti.»


CAPO XVII.

Orazione de’ romani cittadini ai duci, posta sulle labbra loro dalla fame; descrizione della costei rabbiosa forza.

I. Pelagio terminate queste cose pigliò commiato, ed i Romani vedutolo di ritorno privo affatto di consolanti nuove cominciarono a vie più attristarsi, e la fame con quella sua crescente possa erane il maggior tormento; la truppa avea tuttavia qualche vittuaglia di che alimentarsi. Laonde i Romani in frotta presentaronsi agli imperiali duci, Bessa e Conone, e tra’ singulti e lagrime adoperavano commoverli con tale orazione: «Ci rimiriamo sino ad ora in tali miserie, o duci, che sebbene addivenissimo a voi stessi ingiuriosi non potremmo per ciò meritar titolo di colpevoli, gli estremi bisogni formando la miglior delle scuse. Giunti a non poterci aiutar più di per noi ci facciamo al vostro cospetto per esprimervi con parole e pianti le nostre calamità; ascoltateci dunque benignamente,

Procopio, tom. II 22