Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/451

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LIBRO QUARTO 441


III. Di là dagli Apsilii, all’altra estremità del lunato lido, gli Abasgi occupano la proda sino al Caucaso. Una volta e’ venivan compresi nel dominio de’ Lazj e governati da due principi, l’uno all’Oriente all’Occidente l’altro, di lor nazione. Queste genti de’ miei dì veneravano i boschi e le selve, con barbarica semplicità prestando culto agli alberi quai Numi. Soggiacean poi a molestie gravissime, colpa l’insaziabile avarizia de’ capi, ambedue arrogandosi il diritto, ove s’appresentassero agli sguardi loro fanciulli avvenenti del volto e della persona, di strapparli tosto dalle braccia paterne e venderli, fatti eunuchi, a carissimo prezzo nel romano imperio ai bramosi di possederne. Toglievan di più la vita ai genitori per tema non la bizantina corte, pietosa dei lamenti loro, si desse a vendicarne il torto sofferto ne’ figli, e per liberarsi da sudditi di mal certa fede. I padri così riportavan danno ed eran pure in miseranda guisa spenti per lo aversi prole virile di gentili forme; quindi emergeva che moltissimi eunuchi ai servigi de’ Romani come pure dell’aula imperiale fossero di abasgica schiatta. Ora salito in trono Giustiniano le cose di là pigliarono assai più mite e dicevol piega; imperciocchè ed essi vennero alla cristiana religione, ed egli mandò loro Eufrate, altro degli eunuchi palatini e di abasgico sangue, coll’assoluto precetto di guardarsi bene per l’avvenire dal togliere ad uom tra sudditi la virilità oltraggiando col ferro la natura. Gli Abasgi lietissimi accolsero sì bella nuova, e sostenuti dall’imperiale divieto s’opposero con fermezza somma al proseguimento della nefanda azione, ridotti da prima a temere la paternità d’un avvenente