Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/471

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LIBRO QUARTO 461

tevanne gli scudi romani. Nella mischia Coriane venne ferito da sconosciuta mano, l’una delle tante frecce giunta, piagatone il capo, a recargli pronta morte. La perdita di lui troncando il combattimento dichiarò la vittoria a pro degli avversarj, conciossiachè i suoi non appena vedutolo giù di sella e steso in terra a precipizio ritrassersi negli steccati. Qui i vincitori pigliarono a rincacciarli facendone macello, pieni della speranza di occuparne al primo assalto il campo, ma tale degli Alani, coraggioso a non dirne e forte della persona, nè meno destro nel maneggiare l’arco, postosi all’angustissima entrata del vallo riuscì traendo senza posa d’arco da diritta e sinistra a tenerli gran pezza lontani. Giovanni di Tomaso alla fine da solo avvicinatoglisi con improvviso colpo d’asta il trafisse a morte, dopo di che i Romani ed i Lazj furono padroni di tutto. I barbari quivi toccarono gravissima strage, ed i pochi rimasi avviaronsi del meglio loro alle proprie case. Questo fu il termine della guerresca persiana impresa nella Colchide, e quindi anche l’altro reale esercito, non appena rassicurato il presidio di Petra con grosso rinfrescamento di panatica e d’ogni bisogno della vita, diede volta.