Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/487

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LIBRO QUARTO 477

bili agli avversarj, i quali pigliati di mezzo non potevan opporre, come da prima, valida resistenza, ed avvolti in doppia mischia appalesavano la radezza dello schieramento loro. Di tal modo procedeva la contesa, non riuscendo agli uni allontanare il nemico sì dappresso, nè agli altri di aprirsi un varco per entrare nella città, quando l’armeno Giovanni di Tomaso, cognominato Guzes, partesi dai compagni col piccolo drappello di Armeni da lui comandati per inerpicare su d’un precipizio da nessuno estimato soggetto ad assalimenti; giuntovi ed uccisene le guardie ascende ai merli, e pur quivi morta una delle scolte, coraggiosissimo Persiano, rende agevole a suoi l’entrata in Petra.

V. In questo mezzo gli offensori dalla torre di legno appiccarono fuoco a moltissimi vasi di materie combustibili coll’intendimento che in maggior copia lanciati arderebbero colle imperiali macchine la man d’opera in esse, ben conoscendo vano ogni sforzo per liberarsi da tante molestie co’ soli dardi. Se non che surto di repente con romor sommo contrario e gagliardissimo Austro incendiò in un baleno il legname della torre, nè il presidio fu pronto ad accorgersi del nuovo sconcio, tutto del suo lavoro occupato, e distratto dal tumulto, dalla paura, da eccessivo conturbamento e privo quasi de’ sensi, colpa gli urgenti bisogni. Crescendo a mano a mano la fiamma alimentata dall’oglio da Medea nomato e da altre infiammabili materie pervenne da ultimo a ridurre per intiero in cenere la torre ed i racchiusivi difensori. Questi ardenti