Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/495

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LIBRO QUARTO 485

cione, ed avrebbonla eziandio potuta trascorrere con seco un numero comunque di elefanti: seguivanli di più i confederati Unni Sabiri in un corpo di dodici mila individui. Se non che il duce, temendo non la moltitudine dei barbari, sempre indocile ai comandi, scompigliasse con grave danno l’ordinanza persiana, divisò trattenerne sole quattro migliaia rimandando in patria, guiderdonato generosamente il resto. L’esercito de’ Romani componevasi di dodici mila combattenti, ma non tutti a campo nel medesimo luogo, un tre mila coi duci Odonaco e Baba, personaggi chiarissimi in guerra, difendendo Archeopoli, e gli altri essendosi steccati di qua dalle bocche del Fasi per accorrere prontamente dovunque il nemico scorrazzasse. Capitanavansi costoro da Benilo e da Uligago, ed avean seco il persameno Varaze giunto di fresco dall’Italia e duce di ottocento Tzani. Ora Bessa non appena espugnata Petra deposto ogni pensiero guerresco aggiravasi nel Ponto e nell’Armenia solo intento a raccogliere i tributi delle imperiali provincie; riducendo in questo modo, colpa la sordida sua avarizia, nuovamente a mal partito le romane faccende. Imperciocchè se dopo quella conquista ei si fosse immediatamente diretto ai confini de’ Lazj e degli Iberi ed occupato a munirne le strette, indarno, a parer mio, l’esercito dei Persiani tentato avrebbe di penetrare in quella regione. Egli in cambio mettendola onninamente in obblio la consegnò quasi di sua mano al nemico, e colla ferma certezza di venirne forte rimproverato; ma Giustiniano Augusto di soverchia indulgenza nel punire i falli