Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/541

Da Wikisource.

LIBRO QUARTO 531

coloro che mira di esterminare. Laonde sia nostra prima cura il farsi accorti come si rimangano tuttavia non più che grecuzzi, di effeminata natura, e pinzi d’orgoglio sebbene vinti; nè vi patisca il cuore di permettere più lunga durata a sì turpi conati, aprendosi la infingardaggine, ove siamo di lei noncuranti, il varco a più gravi arbitrii, ed instancabile addivenendo una insolita presunzione favoreggiata dal tempo. Non crediate poi di vederli resistere gran pezza a fronte di prodi guerrieri, conciossiachè l’ardire ben poco da virtù raffermato va borioso prima d’incontrare il cimento, e si fa bello rendendo qualche sembianza di fortezza, ma venutovi di leggieri lo volgerete in fuga, e che tal sia ne avrete pruova rammentandovi come dopo chiarissime azioni accommiataste danneggiati i vostri nemici. Ritenete in fine che non già per essere subito addiventati più animosi e potenti eglino vi chiaman ora a battaglia, e quindi la tracotanza loro, al tutto somigliante quella per lo innanzi mostrata, ne riporterà anche adesso l’egual pena.»

III. I Gotti condottieri, esortato l’esercito, e fattisi ad incontrare il nemico tosto lo assalgono. Ostinatissima fu la pugna navale, nè dalle terrestri discrepante; imperciocchè le due fazioni, voltate le prode, si travagliavano colle faretre a vicenda, e per gli spiragli delle navi i prodissimi tenzonavano intra loro colle aste e spade, come è il caso in campo. Tal ebbe principio lo sfidamento, ma poscia i barbari, per nulla sapevoli di naumachia, disordinatissimi combatterono, appartandosi gli uni cotanto da venire assaliti